LA CONTESA SULLE TORRI

L’Opas di Ei-Towers: alla Rai basterebbe un “just say no”

Lo statuto della società e i decreti sulla sua privatizzazione impediscono al socio pubblico di perdere il controllo. Ma in ogni caso, è sufficiente che l’azionista di maggioranza non aderisca all’offerta

Pubblicato il 03 Mar 2015

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Un’offerta pubblica per acquisire il controllo di una società con un azionista che detiene il 65 per cento, senza l’accordo di quest’ultimo, non ha ovviamente alcuna speranza di successo. È infatti sufficiente che il controllante non venda le proprie azioni perché nessuno possa insidiarne la posizione. Questo è però quanto ha fatto Mediaset, tramite la propria controllata Ei Towers, lanciando un’Opas (Offerta pubblica di acquisto e scambio di azioni) su Rai Way, controllata dalla Rai e, quindi, dal ministero dell’Economia e delle finanze.
Il premier Matteo Renzi (e non solo lui) ha ricordato che i decreti governativi emanati in occasione della privatizzazione di Rai Way impediscono al socio pubblico di perdere il controllo della società di gestione delle reti radiotelevisive scendendo al di sotto del 51 per cento.

Una delle norme a cui si riferisce il capo del governo è contenuta nelle premesse del decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 2 settembre 2014 che, testualmente, afferma “l’opportunità di mantenere, allo stato, in capo a Rai, a garanzia della continuità del servizio erogato da Rai Way e Rai medesima, una quota di partecipazione sociale nel capitale di Rai Way non inferiore al 51 per cento”. Qualcuno ha osservato che la previsione non conterrebbe un esplicito divieto di vendita, ma parrebbe più un auspicio programmatico dal limitato “mordente” giuridico.

L’obiezione non è convincente, e nella sostanza ha ragione il presidente del Consiglio: la previsione, contenuta in un provvedimento normativo pubblico e parte integrante del decreto, chiarisce la volontà del governo, e quindi dell’azionista di maggioranza, di non cedere il controllo di Rai Way.

Anche il Consiglio dei ministri del 23 ottobre 2014, che ha dato il via alla privatizzazione di Rai Way, ha confermato l’intenzione di non cedere oltre il 49 per cento. Come se non bastasse, vi sono inoltre i poteri speciali dello Stato, di cui alla legge n. 56 del 2012, che potrebbero ulteriormente rilevare per limitare alcune operazioni di acquisizione, ma la materia è complessa e meriterebbe uno spazio più ampio. In ogni caso, tuttavia, è proprio la volontà dell’azionista di maggioranza il dato anche giuridicamente più rilevante.

LO STATUTO DI RAI WAY

Ci si è anche chiesti che rilievo abbia il fatto che lo statuto di Rai Way non prevede un divieto a vendere le azioni da parte di Rai, o se il contenuto del prospetto dell’Ipo (offerta pubblica iniziale) in merito agli assetti proprietari possa incidere sull’operazione. La prima circostanza è irrilevante. E non potrebbe essere altrimenti: il regolamento di Borsa, infatti, impone che le azioni delle società quotata siano, in linea di principio, liberamente trasferibili (come è nel caso di Rai Way in base all’art. 7 dello statuto) e includere limiti alla circolazione delle azioni nello statuto espone al rischio di esclusione dalle negoziazioni.

Il prospetto riflette queste informazioni, peraltro chiarendo che Rai esercita il controllo e la direzione e coordinamento su Rai Way. Si aggiunga che gli accordi di lock up stabiliscono che Rai, per sei mesi dalla quotazione (avvenuta a metà novembre 2014), non possa cedere le proprie azioni, se non in caso di offerta pubblica di acquisto. Ma il fatto che Rai possa aderire a un’Opa non significa, ovviamente, che debba. Insomma, nessuna di queste circostanze è in contraddizione con la volontà dell’azionista di controllo di respingere l’offerta, espressa nei decreti governativi. Si deve però sottolineare che non vi è nemmeno bisogno di fare appello a queste norme, che pur opportunamente il governo ha previsto, né alle previsioni statutarie o alle informazioni contenute nel prospetto. Il semplice fatto che l’azionista di maggioranza non aderisca all’offerta garantisce la stabilità del controllo. Insomma, come direbbero gli americani, questo è il tipico caso in cui “just say no” è una difesa sufficiente.

IPOTESI SU UN’OPA

Naturalmente, in questi giorni, si è scatenata una ridda di ipotesi e speculazioni su quali possano essere le finalità dell’Opa.
Alcuni commentatori hanno suggerito che alla base vi potrebbe essere la volontà di acquistare una partecipazione rilevante, seppur di minoranza, per finalità industriali, finanziarie o di altra natura. Farlo tramite un’Opa, anziché con acquisti sul mercato, può in alcune occasioni avere senso, per porre un tetto al prezzo pagato. Nessuno, tuttavia, acquista quote di minoranza pagando un premio significativo. Inoltre, nella presente situazione, sarebbero probabilmente possibili acquisti fuori mercato di partecipazioni di un certo peso.

Altri si sono chiesti se l’offerta abbia la finalità, per così dire, di creare una difficoltà alla Rai qualora dovesse rifiutare l’offerta. Oppure se la finalità è quella di mettere sul tavolo, con forza, la più generale questione dell’assetto delle reti, anche in previsione di altre possibili operazioni (e sugli aspetti di politica industriale e concorrenziali dell’operazione, si veda quanto ha scritto Michele Polo sul sito di lavoce.info.

Tuttavia, pure queste ipotesi lasciano perplessi, in primo luogo perché l’azionista di controllo e gli amministratori possono indicare ragioni economiche per rifiutare l’offerta senza necessità di invocare la politica; anzi, si potrebbe osservare che in linea di principio un azionista non è nemmeno tenuto a motivare perché decide di non aderire a un’offerta. E in ogni caso mettere in difficoltà la Rai o aprire una discussione più ampia sugli assetti industriali del settore sarebbero motivazioni che difficilmente renderebbero economicamente comprensibile l’Opa, e comunque i mezzi parrebbero sproporzionati al fine.

Non si deve infine tacere l’ipotesi più lineare (qualcuno potrebbe dire “ingenua”): ossia che gli offerenti sperino semplicemente di convincere tutti gli azionisti, incluso quello di controllo, della bontà del loro progetto e di quanto proposto. Interpretazione, questa, coerente con gli inviti – anche di Renzi – a giudicare le operazioni di mercato con gli occhiali del mercato.
Insomma, non vi è dubbio che la Rai e il ministero dell’Economia possano rifiutare l’offerta, ma quest’offerta solleva diversi interrogativi, almeno dal punto di vista economico e giuridico. Interrogativi che verosimilmente si chiariranno nelle prossime settimane.

tratto dal sito www.lavoce.info

L’autore di questo articolo è Marco Ventoruzzo: professore ordinario di diritto commerciale all’Università Bocconi, insegna anche presso la Pennsylvania State University Law School. E’ membro scientifico del Max Planck Institute on Financial Markets di Lussemburgo, dopo essere stato direttore di tale Istituto, ed è Research Associate dello European Corporate Governance Institute dal 2009. Oltre che negli Stati Uniti e in Italia, ha insegnato in qualita’ di visiting professor, tra le altre, in importanti università e facoltà di giurisprudenza in Cina, Germania, India, Cile, Spagna, Turchia e Brasile. E’ membro dei comitati di direzione o redazione di diverse riviste scientifiche, tra cui Oxford Journal of Financial Regulation, European Company and Financial Law Review, e Rivista delle societa’.

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