Concorrenza, Regole, Innovazione: quei difficili trade-off

L’Italia è indietro per penetrazione e velocità di Internet. Il piano Ngn del governo e l’intervento regolatorio possono contribuire ad invertire la rotta. Un articolo del commissario Agcom Antonio Nicita che riprende le tematiche sviluppate al Convegno EY di Capri

Pubblicato il 13 Ott 2015

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Il dibattito regolatorio europeo degli ultimi anni ha spesso contrapposto, talvolta banalizzandole, le tesi degli incumbent, che tenderebbero a subordinare le scelte di investimento alla richiesta di garanzie circa la redditività degli stessi (riflessa in conseguenti prezzi di accesso alle infrastrutture essenziali in loro possesso) con quelle dei nuovi entranti i quali, al contrario, rivendicherebbero prezzi di accesso più contenuti e un clima concorrenziale come condizione per investire.

Entrambe le tesi hanno una parte di verità. Per comprenderlo, occorre ripartire dalla lezione di J. A. Schumpeter e dalla relazione dinamica, e ciclica, tra concorrenza e monopolio. Si tratta, secondo Schumpeter, di due facce della stessa medaglia: la concorrenza induce le aziende a innovare e a differenziarsi nel tentativo di conseguire rendite monopolistiche; il monopolio attira concorrenti, tramite processi di innovazione imitativa, generati dalla prospettiva di erodere parte di quelle rendite.

Philippe Aghion, assieme ad altri economisti, ha poi mostrato l’esistenza di una relazione non lineare (“a campana” o ad “u invertita”) tra concorrenza-monopolio e innovazione: bassi e alti livelli di concorrenza deprimerebbero entrambi gli incentivi a investire e il punto di massimo degli investimenti sarebbe associato ad un intervallo ottimale, intermedio, di concorrenza.

Se ha ragione Aghion, allora – nei settori a rete – la regolazione non deve occuparsi solo del flusso concorrenza-monopolio ma anche del livello ‘ottimale’ di concorrenza. L’ondata di liberalizzazione delle industrie a rete, tipica dei paesi OCSE negli ultimi trent’anni, ha disegnato un sistema di regolazione volto a garantire la concorrenza a valle attraverso la definizione di obblighi di accesso equo e non discriminatorio alle essential facility da parte dei concorrenti.

Nelle comunicazioni elettroniche, la spinta liberalizzatrice nei servizi collegati alla rete fissa è stata più forte che in altri settori a rete, ma sembra scontrarsi oggi con tre limiti, che inducono a una riflessione e generano alcune domande. Da un lato, la scarsa mobilità dei consumatori, spesso inerti e poco disponibili a cambiare fornitore quando pure sarebbe efficiente farlo, pongono il tema centrale di come alimentare le liberalizzazioni dal lato della domanda, attraverso politiche di stimolo e incoraggiamento (nudging) al consumatore.

Dall’altro, non sempre la qualità dell’accesso dei concorrenti alla rete dell’incumbent raggiunge standard accettabili, frenando ulteriormente le spinte concorrenziali e l’equivalence tra concorrenti e titolare della rete “essenziale”. Infine, la concorrenza si differenzia ancora verticalmente, lungo i gradini della cosiddetta “scala degli investimenti”, caratterizzati da un diverso grado di infrastrutturazione, e si localizza nelle medesime aree geografiche, quelle più redditizie, realizzando mercati a macchia di leopardo e con diverse velocità di accesso, dando vita ad alcune isole felici, fortemente innovative. Negli anni recenti, si sono realizzate diverse dinamiche leader-follower sugli investimenti nella rete di accesso, a volte trainate dai nuovi entranti (dunque, anche grazie allo stimolo della concorrenza infrastrutturale), altre indotte dall’incumbent (per via di processi imitativi).

Nel complesso, per il concorrere di diverse ragioni, anche storiche (quali la nota assenza del cavo in Italia), diversi indicatori internazionali offrono un quadro complessivo del Paese in ritardo rispetto all’Europa, quanto a penetrazione e a velocità medie di connessione a Internet, su reti broadband e ultra-broadband, sebbene non siano mancati, di recente, importanti segnali di ripresa.

Negli ultimi anni, i principi fondanti della regolazione pro-concorrenziale sono stati quelli, d’impronta europea, della neutralità tecnologica e della ladder of investment (LOI). Si tratta di due principi che, complementari nelle prime fasi della liberalizzazione, finiscono per generare rilevanti trade-off, via via che la concorrenza si manifesta anche verticalmente, lungo la scala degli investimenti.

Nelle prime fasi della liberalizzazione, il regolatore favorisce l’entrata ad ogni livello della catena del valore (splintering) e per ogni tipo di tecnologia, con regole neutrali e incentivanti. Nelle fasi successive, viene incentivata la concorrenza infrastrutturata o verticale lungo la scala degli investimenti. Di qui sono emerse due questioni nella letteratura più recente: come riuscire a definire una regolazione incentive compatible che tenga insieme coerentemente splintering, LOI e neutralità tecnologica man mano che giunge al vertice della ‘scala’?; come governare il tema della selettività evolutiva del LOI, dato che, man mano che si sale, la scala si restringe, riducendo il numero di operatori che possono percorrerla, in modo sostenibile, nella parte finale (ad esempio, il numero di operatori attivi in bitstream in una determinata area geografica è molto maggiore di quelli attivi in unbundling che, a sua volta, supera di gran lunga il numero di operatori in grado di utilizzare in modo redditizio il sub loop unbundling, che si riduce a due o tre al massimo)?

Il problema è che, dal punto di vista economico, per certi livelli di investimento, la relazione tra regolazione incentivante (LOI) e neutralità tecnologica non è più indipendente dal grado di concorrenza infrastrutturale che si manifesta sul mercato. Infatti, chi si trova nella parte alta del ladder ha progressivamente spostato in avanti la barriera che segna la dipendenza funzionale dal titolare della risorsa essenziale. Si pone allora la questione del mantenimento del regulatory burden nella parte bassa della scala rispetto all’ipotesi di generare mercati concorrenziali dell’accesso wholesale (per i segmenti di rete replicati dai concorrenti), ancorché si tratti di mercati oligopolistici, il cui corretto funzionamento deve essere assicurato dalla regolamentazione.

L’emersione di questi trade-off è stata ampiamente considerata nell’ultima analisi dei mercati dell’accesso in rame e fibra, nella quale l’Autorità, non a caso, ha proposto in consultazione, due scenari regolamentari alternativi – uno di continuità e un altro di tipo evolutivo – per valutare se le attuali condizioni concorrenziali possano consentire un passaggio ad una regolazione di tipo dinamico o se, invece, come suggeriscono molti stakeholders, vada prima portato a termine, il disegno avviato con le prime fasi della liberalizzazione.

In ogni caso, sulla relazione dinamica tra concorrenza e investimenti è intervenuto anche il Governo, con il suo Piano di sviluppo delle reti e servizi ultra-broadband, finalmente avviato, dopo esser stato invocato negli ultimi sette anni. Il Piano spinge verso una forte discontinuità con l’adozione di tecnologie future proof il cui avvento produrrà anch’esso un riaggiustamento dei modelli di concorrenza service based e infrastructure based osservati negli ultimi anni. Siamo dunque ad un momento di svolta.

Ma ciò ci riporta al punto di partenza, a Schumpeter e alla curva di Aghion, nonché alla domanda su quale sia il grado ottimo di concorrenza, tanto ‘orizzontale’ quanto ‘verticale’, compatibile con lo sviluppo innovativo del mercato, tenendo conto anche delle note scadenze al 2020 che ci impone l’Agenda Digitale Europea.

Dalla risposta a questa domanda, cui concorrono tanto la regolazione quanto la politica industriale, verrà la definizione di incentivi efficienti agli investimenti nelle nuove reti e una nuova relazione tra concorrenza e innovazione in grado di accelerare lo sviluppo digitale del Paese.

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