“Wi-fi gratis? Un grave errore”

Le aziende dell’Ict contro le iniziative della PA: concorrenza sleale, un danno per il Sistema Italia

Pubblicato il 07 Mar 2011

Il wi-fi pubblico gratis? Fa male alle telco, alla PA e,
soprattutto, al Sistema Italia. Questa, in sintesi, la tesi portata
avanti da buona parte delle aziende di Ict operative sul mercato
tricolore.

A farsi portavoce del j’accuse nazionale ci ha pensato il
presidente di Asstel Stefano Parisi. “Gli
operatori di Tlc sono chiamati a fare un grande sforzo di
investimento sul fronte della rete di nuova generazione di cui
l’Italia si deve necessariamente dotare. Ma se vogliamo le Ngn in
Italia è del tutto fuorviante e irrealistico continuare a
propagandare Internet gratis per le città italiane”. Parisi, nel
chiedere ai rappresentanti del mondo politico di “fare
chiarezza” su un tema considerato “molto delicato”
puntualizza che l’offerta di connessioni gratuite da parte di
Province e Comuni si configura come un’invasione di campo
anticoncorrenziale. “Vuol dire fare concorrenza sleale con i
soldi pubblici, statalizzare uno degli interventi di natura più
decisamente privata, che è appunto l’investimento nelle reti di
nuova generazione. Questo è puro populismo che va superato”.

Contro l’Internet pubblico gratuito si schiera il numero uno di
Vodafone Italia Paolo Bertoluzzo secondo il quale
la diffusione del wi-fi outdoor deve avvenire tramite iniziative
private e commerciali o come opzione limitata nello spazio e nel
tempo. “In caso contrario bisogna rivedere in un’altra ottica i
rapporti fra gli operatori e lo Stato”.
“Gli operatori impegnati negli investimenti nelle nuove reti non
possono essere cannibalizzati all’interno delle aree urbane”,
aggiunge Bianca Maria Martinelli, direttore Affari
Pubblici e Legali e consigliere di amministrazione di Vodafone
Italia. “Il wi-fi pubblico nelle aree urbane si sovrappone alle
reti private già realizzate sul territorio. Il tutto, associato ad
un’offerta pubblica di servizi gratuiti, diventa insostenibile
per gli operatori”.

Sul fronte del no si schierano anche Cesare
Avenia
, Ad di Ericsson e il numero uno di Cisco Italia
David Bevilacqua. “Le amministrazioni pubbliche
– sostiene Avenia – sono libere di fare le politiche che
vogliono, ma è evidente che l’offerta di connessioni gratuite è
scorretta nei confronti delle aziende dell’Ict. E ciò non fa
bene alle stesse amministrazioni pubbliche: si privano della
possibilità di introiti utili per risanare i bilanci e di nuove
revenues, e con questa strategia difficilmente potranno poi portare
avanti la bandiera degli investimenti nelle nuove reti. Se non si
dà il giusto valore a Internet e alla connettività adesso, come
si farà a convincere il Paese che migrare all’ultrabroadband
rappresenta un’evoluzione necessaria per il futuro dell’Italia
stessa?” Avenia aggiunge che “se si vuole innescare il circolo
virtuoso degli investimenti bisogna dare garanzie: le
infrastrutture hanno bisogno di manutenzione e gestione e ciò ha
un costo, non si può non considerare l’impegno delle aziende del
comparto”.

Da parte sua Bevilacqua invita a riflettere sul concetto di rete
“sociale”, di offerta pubblica di servizio. “Se così stanno
le cose allora il servizio rientra fra quelli regolamentati e
quindi deve essere gestito in quanto tale: la tariffa va regolata
dall’Authority”.

Franco Micoli, Responsabile Regulatory & Public
Affairs di Alcatel-Lucent Italia sottolinea che “bisogna chiarire
qual è, a questo punto, il business model della PA. La PA può
certamente decidere di erogare gratuitamente alcuni servizi, ma a
patto che sia garantita la sostenibilità economica. Siamo sicuri
che le PA che hanno deciso di offrire le connessioni gratuitamente
abbiano fatto i conti?”

Fa un ragionamento diverso l’Ad di Telecom Italia Franco
Bernabè
: le iniziative di connettività gratuita portate
avanti dalle PA potrebbero avere un ritorno positivo per le telco
perché andrebbero a stimolare la domanda di banda larga, ad oggi
in Italia ancora carente. Bernabè auspica però che l’offerta
free sia accompagnata da iniziative di formazione che coinvolgano
quella fascia di popolazione ancora non “digitalizzata”.

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