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Zampori: “Il marketing ora è in progress”

Il dg della filiale italiana di Quisma: “L’ottimizzazione quotidiana della campagna è il nostro motto. Non esiste più la pianificazione classica, l’attività viene perfezionata in tempo reale”

Pubblicato il 16 Set 2013

Dario Banfi

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Sembrano passati anni luce dalla new economy. Non tanto sotto il profilo dell’effervescenza di start up e progetti milionari, ma delle tecnologie in uso in quegli anni e il cambiamento è ancora più evidente là dove transitano soldi, dall’e-commerce al web marketing. Ne è testimone Ilaria Zampori, oggi direttore generale della filiale italiana di Quisma, società attiva nel performance marketing.
Una vita professionale spesa nel segmento digital. Quando iniziò?
Entrai nel mondo di Internet prima di finire gli studi. Era il 2000. Mentre frequentavo un Master alla Georgetown University di Washington, iniziai una ricerca su Aol, al tempo l’azienda online più in vista. Durante alcune interviste entrai in contatto con DoubleClick, concessionaria di pubblicità e azienda tecnologica e mi proposero subito di andare a lavorare per loro. L’atmosfera era galvanizzante e anche un po’ surreale. Avevano il campo da basket in azienda e un’attenzione per i dipendenti che oggi hanno mantenuto soprattutto alcuni colossi come Google e Facebook.
Per una laureanda non è male…
Certamente, soprattutto se penso alla situazione odierna e alle difficoltà di molti giovani. Quando decisi di rientrare in Italia, mi offrirono una posizione come product manager nel nostro Paese, per la filiale di DoubleClick appena aperta. Lavoravo di giorno e studiavo di notte. Furono anni intensi, imparai molto, soprattutto dall’approccio americano, molto innovativo. Successivamente la società fu rilevata dalla tedesca AdLink Internet Media, più attenta ai numeri e allo sviluppo della società, e poi dalla francese Hi-Media. Passai allora a seguire il mercato internazionale e il mobile payment. Viaggiavo moltissimo.
Quando è “atterrata” in Quisma?
Due anni fa, con l’avvio del business in Italia. L’esperienza che ho apprezzato di più in passato fu quella in DoubleClick e l’idea di guidare una start-up nel nostro Paese mi piacque subito moltissimo.
Usa, Francia, Germania e Italia: è vero che esistono culture di business diverse?
Sì, lavoriamo tutti più o meno sulle stesse tecnologie e nello stesso segmento di business, ma l’approccio è completamente diverso. In alcuni Paesi è più difficile lavorare. Personalmente ho apprezzato di più l’ambiente americano rispetto agli altri. Sono più pragmatici e innovativi.
Partire con una start up che si occupa di investimenti pubblicitari in tempo di crisi non è azzardato?
Il primo passo fu la valutazione delle reali esigenze di mercato, ovviamente. Il Web, a ogni modo, sta subendo la contrazione degli investimenti meno degli altri contesti media e offre oggi grandi opportunità. Con circa 29 milioni di utenti, ha registrato una crescita del 37% rispetto al 2009 e sta diventando il secondo mezzo per investimenti pubblicitari, con un market share del 19%. A differenza della tv, con spazi piuttosto limitati, consente poi strategie diversificate e “contenitori” illimitati. C’è spazio, dunque, per chi vuole cimentarsi. La formula che proponiamo, infine, è molto innovativa, poiché basata sul raggiungimento di risultati misurabili e quantificabili per i clienti. Incremento di traffico, nuovi contatti e clienti: siamo pagati soltanto se arriviamo agli obiettivi.
Com’è visto in Italia il performance marketing?
Spesso i clienti pensano che l’agenzia o l’editore mettano in atto politiche poco trasparenti, ma non è così. Superata una diffidenza iniziale, la formula della remunerazione a risultato piace molto. È una forma di marketing che va spiegata al cliente e realizzata con cura, anche perché non viene meno l’attenzione ai messaggi pubblicitari, e aggiunge una forte predisposizione verso il raggiungimento di risultati concreti e misurabili.
In generale, come sta cambiando l’approccio verso il marketing online?
Oggi cerca di seguire i trend di consumo della Rete, ad esempio assecondando la crescita costante nell’uso di dispositivi mobili e tablet per accedere al Web. Sfrutta poi la sovrapposizione di mezzi e la tendenza crescente a guardare la Tv contemporaneamente all’uso dei social network. Facebook e Twitter stanno diventando poi realtà importanti e tutto questo modifica le logiche di pianificazione, senza dimenticare che gli acquirenti online hanno acquisito oggi un’elevata capacità informativa. Fanno, cioè, “info-commerce”. Per questo molti retailer online hanno cambiato approccio, puntando sui contenuti più che sul marketing tradizionale.
E dal punto di vista tecnologico?
La vera grande novità degli ultimi anni sono le piattaforme che consentono l’ottimizzazione delle campagne pubblicitarie anche attraverso degli strumenti come il real time bidding. È una rivoluzione che aiuta noi nella pianificazione e gli editori nella vendita di spazi pubblicitari in tempo reale. Si tratta di vere e proprie aste che permettono di decidere quanto spendere e offrono disponibilità immediata di spazio in millesimi di secondo: da una parte ci sono le demand side platform delle agenzie e dall’altra le supply side platform degli editori. Fino a poco tempo fa era possibile acquistare con questo modello di asta solamente l’attività di search, mentre adesso lo si può estendere anche a molte altre soluzioni pubblicitarie.
Questo consente di cambiare strategie in corsa?
Assolutamente sì. L’ottimizzazione quotidiana della campagna è il nostro motto. Non esiste più la pianificazione classica: dopo un’ipotesi di strategia iniziale l’attività di marketing viene costantemente perfezionata in base ai riscontri che si possono avere in tempo reale. Se alcuni strumenti pubblicitari non danno risultato se ne possono utilizzare subito altri. È un lavoro che punta alle performance e prevede perfino il cambio di messaggi pubblicitari in tempo reale.
Le donne sono un target interessante per le campagne online?
Sì, rappresentano un segmento molto interessante, anche perché negli ultimi quattro anni è aumentata la loro partecipazione alla Rete. Casalinghe online, mamme con figli e altri cluster sono target sempre più importanti, visto che assumono la connotazione di acquirenti e decisori. Sono, cioè, sempre più attive sul Web.
Ha qualche consiglio per le donne che vogliono fare carriera nell’Ict?
Lavorare molto e con dedizione, senza demoralizzarsi mai. Mai tirarsi indietro davanti a situazioni difficili. Non bisogna neppure avere paura di sedersi al tavolo e dire la propria. Spesso l’approccio femminile porta a non sentirsi mai competenti al 100%, ma non bisogna avere paura delle proprie idee.
Serve alimentare anche un po’ di marketing di se stessi?
Sì, ma con le dovute precauzioni, senza esagerare in eccesso o per difetto. Imparare a promuoversi è importante, ma il miglior biglietto da visita è fare bene nella propria azienda.

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