L'ANALISI

Big data, la partita antitrust non si gioca solo sul “prezzo”

Nell’era del digitale i criteri tradizionalmente utilizzati per la determinazione della posizione dominante non sono sufficienti. Servono strumenti fondati sull’utilità intrinseca che viene riconosciuta dai mercati alla piattaforma. L’analisi di Luciano Di Via, partner Clifford Chance, head of the Italian Antitrust Practice

Pubblicato il 05 Nov 2018

Luciano Di Via

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Come discusso nel recente convegno che lo Studio legale Clifford Chance ha organizzato a Roma su “Antitrust, Economia Digitale e Big Data“, il tema del valore economico dei dati è tra i più rilevanti nel dibattito giuridico ed economico in materia di gestione e utilizzo dei Big Data da parte delle piattaforme digitali.

Il mito della gratuità nella rete alla prova dei fatti, tuttavia, non esiste. I consumatori, infatti, accedendo ai servizi offerti su internet, pagano comunque alle piattaforme digitali un prezzo rappresentato dalla cessione dei propri dati. Questa evidenza non è sfuggita neanche alla Commissione europea che, nella decisione con cui nel giugno 2017 ha accertato l’abuso di posizione dominante di Google nel mercato dei servizi di ricerca per lo shopping online, ha riconosciuto che “la circostanza che un prodotto o servizio sia offerto a prezzo zero non impedisce di considerare questa attività come economica“.

Tuttavia, ad oggi, non pare che questa constatazione abbia prodotto tutte le possibili implicazioni che da essa potrebbero derivare, in termini di individuazione dei mercati rilevanti e della dominanza per quei servizi nei quali il corrispettivo per l’utilizzo è costituito dalla cessione dei dati a prezzo zero.

Se è vero, infatti, che l’Autorità Antitrust Italiana nel caso Facebook-WhatsApp nel maggio 2017 ha affermato che il dato rilasciato al social network ha un valore economico e, per questo, ha applicato al caso di specie il Codice del Consumo che vieta i comportamenti scorretti che possano interferire sulle scelte economiche dei consumatori, e che, nel dicembre 2017, il Bundeskartellamt (l’autorità tedesca di concorrenza), comunicando gli esiti preliminari della sua indagine per abuso di posizione dominante contro la stessa Facebook, ha presupposto la sua posizione di dominio in funzione dell’enorme ammontare di dati di cui dispone rilasciati dai suoi utilizzatori, appaiono ancora forti le resistenze da parte delle autorità di concorrenza ad affermare che possa configurarsi una posizione dominante sui mercati in cui il corrispettivo è la cessione dei dati a titolo gratuito.

L’ostacolo principale è rappresentato dalla circostanza che lo strumento più efficace per l’individuazione del mercato rilevante, necessario per accertare una posizione dominante, è il c.d. SSNIP test (Small but Significant and non Transitory Increase in Price), la verifica in concreto della reazione dei consumatori nei loro acquisti di un prodotto se si verifica un aumento del suo prezzo.

Una soluzione in proposito l’ha offerta il legislatore tedesco che nel giugno 2017 non soltanto ha prescritto che, per l’individuazione del mercato rilevante, possono essere presi in considerazione anche beni e servizi offerti gratuitamente (§ 18.2.a GWB), ma ha anche individuato (§ 18.3.a GWB) una serie di parametri finalizzati a valutare la posizione dominante nei c.d. “mercati multilaterali” (piattaforme con due distinti gruppi di utenti che interagiscono tra loro, come ad esempio i motori di ricerca, da cui traggono diretta utilità i soggetti che lanciano la ricerca e gli inserzionisti pubblicitari). Tra gli altri, il parametro da valutare ai fini di questo esercizio è il c.d. “effetto rete”, ovvero il grado di attrattività per gli utenti nell’appartenere alla piattaforma, e nello scambiarsi informazioni su di essa, risultante del suo grado di penetrazione sul mercato. Si tratta, quindi, di un valore non direttamente monetizzabile, ma certamente diretto a soddisfare un bisogno dell’utente.

Al di là della rigorosa individuazione dei parametri operata dalla normativa tedesca, che è propria della tecnica legislativa germanica, questo modo di procedere ci fa comprendere che nell’era dei Big Data, da una parte, i criteri tradizionalmente utilizzati per la determinazione della posizione dominante, fondati esclusivamente sul prezzo del prodotto, non possono più essere considerati sufficienti, dall’altra, che ben esistono strumenti alternativi fondati piuttosto sull’utilità intrinseca che viene riconosciuta dagli utilizzatori dei mercati bilaterali all’appartenenza alla piattaforma.

In altre parole, l’evoluzione tecnologica digitale, che ci ha portato ad una logica dello scambio non più basata necessariamente su un corrispettivo monetario, implica strumenti di analisi più sofisticati, ma comunque alla portata dell’analisi economico-giuridica, e in ogni modo l’apparente gratuità nella cessione del dato non può costituire un alibi per impedire al diritto antitrust di esplorare in concreto le forme di esercizio, abusivo e non, delle nuove posizioni dominanti sui mercati dei servizi ceduti su internet a prezzo zero.

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