SCENARI

Data economy: per l’Italia in ballo 50 miliardi, il 2,8% del Pil

È quanto stima EY. Il nostro Paese produce il 20% dei Zettabyte di tutta Europa ma sfrutta solo il 10% del potenziale. Il gap di competenze grande ostacolo sul cammino

Pubblicato il 09 Ott 2020

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La data economy italiana potrebbe generare almeno il 2,8% del Pil, alias 50 miliardi di euro. Questa la stima annunciata da EY in occasione dell’EY Capri Digital Summit 2020. Ma per generare il “tesoretto” extra sarà necessario spingere sui modelli di business legati alla data economy e sfruttare il potenziale inespresso. “Sebbene in Europa si producano circa 1 Zettabyte di dati all’anno e l’Italia da sola ne produca circa il 20%, il nostro Paese sfrutta circa un 10% di questo potenziale”, evidenzia EY sottolineando che “con le opportunità offerte dal Recovery Plan è prioritario saper utilizzare reti fisse e mobili, 5G, cloud e dati per realizzare modelli integrati a vocazione industriale e di filiera che abilitino nuove soluzioni di business”.

Da uno studio realizzato in collaborazione con Ict Consulting è emerso “come oggi sia prioritario intervenire su Pmi (meno del 30% sfrutta, ad esempio, soluzioni in cloud), Pubblica amministrazione (ad esempio, per collegare 130.000 sedi con reti Vhcn), scuole e ospedali (con soluzioni di prossimità IoT e 5G) ma anche sulle grandi aziende nel sapere stimolare in maniera diversa la domanda di servizi digitali di cittadini e clienti”.

Il Digital Economy and Society Index (Desi) – è stato ricordato durante l’evento – pone l’Italia al 25° posto su 28 Stati membri, imputandole l’assenza di una chiara roadmap digitale, scarsi progressi sull’utilizzo dei servizi internet, scarsa penetrazione dei servizi eGovernment e bassissimo livello di diffusione della conoscenza digitale.

Lo scoppio della pandemia ha reso evidente che tali gap costituiscono per l’Italia, prima ancora che un vulnus economico, un tema di inclusione sociale: secondo la Fondazione Agnelli, le difficoltà di connessione hanno generato una perdita di apprendimento per gli anni futuri che potrebbe valere fino a 10% del Pil – commenta Donato Ferri, Med Consulting and People Advisory Services Leader di EY -. Inoltre, sebbene l’adoption tecnologica in fase di emergenza sia stata rapida, è necessario sanare il gap culturale per saperla gestire: dal nostro osservatorio sul lavoro del futuro è emerso che il 50% dei lavoratori in smart working si sente esausto e poco supportato da manager e aziende in termini di formazione, benessere e motivazione. È pertanto prioritario fare investimenti mirati, sfruttando anche le opportunità offerte dal Recovery Fund, per accelerare l’evoluzione e l’estensione delle infrastrutture digitali, che consentirebbero di recuperare competitività a livello europeo e superare il digital divide, e per accrescere la cultura tecnologica di imprese e cittadini”.

@RIPRODUZIONE RISERVATA

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