STRATEGIE

Digitale, il monito di I-Com: “Senza riforme Pnrr inefficace”

L’analisi del presidente Stefano da Empoli in vista della scadenza elettorale: “L’Italia ha un’opportunità unica da non farsi sfuggire: mettersi alla pari con gli stati europei tecnologicamente più avanzati”. Ma per farlo “non basta spendere i soldi che si riceveranno”

Pubblicato il 05 Ago 2022

digitale - inclusione

“Per avere pienamente successo, la transizione digitale deve portare a un radicale cambiamento culturale e organizzativo. Gli investimenti certamente forniscono il carburante alla macchina ma se poi il modello dell’autovettura rimane lo stesso nulla o poco sarà cambiato dopo che il Pnrr terminerà”. Lo sottolinea Stefano da Empoli, presidente Istituto per la Competitività nell’analisi “Il Pnrr alla prova delle elezioni: come utilizzare bene le risorse e centrare gli obiettivi del decennio digitale europeo“.

Le due tappe strategiche del Pnrr

L’autore ricorda come “proprio nei giorni in cui la crisi politica stava inesorabilmente trascinando l’Italia verso le prime elezioni repubblicane autunnali e mentre, rispetto alle scadenze europee, l’attenzione dei più si concentrava sulla rata di fine anno del Pnrr (21,8 miliardi di euro), tra Roma e Bruxelles si sono consumati senza grandi clamori mediatici due fatti probabilmente più rilevanti per gli scenari digitali del Paese”.

Il primo è stato l’accordo politico raggiunto dal Parlamento europeo e dal Consiglio Ue sul percorso per il decennio digitale. “Se tutto filerà liscio, nei prossimi mesi la Commissione europea, di concerto con gli Stati Membri, elaborerà gli indicatori chiave di prestazione (ICP) che serviranno a misurare i progressi verso gli obiettivi al 2030 e, su queste basi, gli Stati Membri presenteranno la roadmap strategica con la traiettoria prevista per il raggiungimento dei target”.

Il secondo fatto è stato l’accordo di partenariato firmato il 19 luglio a Roma tra la Commissaria europea Elisa Ferreira e la ministra Mara Carfagna che sblocca i fondi per la coesione, rivolti in particolare alle Regioni meridionali”.

Da Empoli ricorda che si tratta di 42,7 miliardi di euro a valere sul bilancio Ue 2021-2027, di cui 9,5 miliardi per ricerca, innovazione e digitale, ai quali va aggiunto il co-finanziamento nazionale. “Non tantissimi, apparentemente – annota il presidente i-Com -, rispetto a quelli stanziati per il Pnrr (51 miliardi di euro complessivi per il digitale) ma occorre ricordare che si tratta esclusivamente di finanziamenti a fondo perduto, che dunque non vanno restituiti“.

Troppi soggetti attuatori

Da Empoli ricorda come “secondo un recente studio del network PromethEUs, coordinato dall’Istituto per la Competitività e del quale fanno parte anche il Real Instituto Elcano (Spagna), Iobe – Foundation for Economic and Industrial Research (Grecia) e l’Institute of Public Policy (Portogallo) lo schema nel quale si muovono i Pnrr dei 4 Paesi, ai quali vanno 81 miliardi di euro, su un totale di 131,5 miliardi di euro allocati alla transizione digitale (dunque, ben il 61,6%), soffre di alcuni difetti di partenza, complice la fretta con il quale il dispositivo è stato approvato a livello comunitario“.

Innanzi tutto si rileva la frammentazione dei soggetti attuatori e poi i Pnrr “dedicano più risorse e meccanismi agli investimenti e meno alle riforme”.

Una chance unica per l’Italia

Grazie al Pnrr e considerando anche gli altri fondi a disposizione di derivazione comunitaria che sono almeno parzialmente destinati alla transizione digitale (da Digital Europe a Horizon Europe fino ai fondi per la coesione di cui il Sud Europa è il principale beneficiario, insieme all’Est), l’Italia, insieme a Spagna, Grecia e Portogallo, “ha un’opportunità unica da non farsi sfuggire: quella di mettersi alla pari con gli stati europei tecnologicamente più avanzati. Per tradurre in realtà queste premesse, non serve meramente spendere i soldi che si riceveranno”.

“Specialmente in Italia (ma non solo), ci si concentra molto sul rispetto delle tabelle di marcia per ottenere i fondi e spenderli. Una giusta attenzione di partenza, vista la fatica con la quale tradizionalmente utilizziamo i fondi europei. Ma che riflette un’ambizione troppo limitata rispetto all’obiettivo finale, che deve essere soprattutto quello di far fare al Paese quel salto in avanti in termini di produttività, crescita e innovazione che solo con le nostre forze non si riuscirebbe a compiere”.

“Qualsiasi governo arrivi dopo le elezioni del 25 settembre è bene se ne ricordi. E provi a lavorare a testa bassa per raggiungere quelle ambizioni che un grande Paese come l’Italia è giusto che abbia. E coerentemente realizzi”.

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