IL CENSIMENTO

Istat: “maturità digitale” solo per il 3,8% delle imprese italiane

Bene l’infrastrutturazione digitale (banda larga, cloud), ma solo il 16,6% ha adottato almeno una tecnologia tra IoT, realtà aumentata o virtuale, Big data e automazione avanzata. Nell’industria le aziende “innovative” salgono al 5,2% grazie agli incentivi 4.0

Pubblicato il 13 Ago 2020

Patrizia Licata

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Nel periodo 2016-2018 oltre tre quarti delle imprese italiane con almeno 10 addetti (77,5%) hanno investito, o comunque utilizzato, almeno una tecnologia digitale, ma la maggior parte delle imprese dà priorità agli investimenti infrastrutturali (soluzioni cloud, connettività in fibra ottica o in mobilità, software gestionali, cyber-security) e lasciando eventualmente a una fase successiva l’adozione di tecnologie applicative (Big data, applicazioni di Internet delle cose, stampa 3D, robotica, simulazione, ecc.). Perciò, se si misura il grado di “digitalizzazione” delle imprese italiane solo in termini di infrastrutturazione si rischia di farsi sfuggire il fatto che, senza la parte applicativa, il nostro tessuto industriale spesso non raggiunge la maturità digitale. È quanto si legge nell’indagine Istat “Digitalizzazione e tecnologia nelle imprese italiane” pubblicata oggi.

Il questionario sottoposto da Istat nel censimento individua 11 tecnologie come fattori chiave di digitalizzazione: software gestionale, cybersecurity, simulazione, fibra ottica, IoT, Big data, 4G-5G, robot, AR/VR, cloud, print 3D. L’utilizzo congiunto di tali tecnologie – in particolare, di una combinazione tra infrastrutture digitali e tecnologie applicative – viene proposto come indicatore sperimentale di maturità digitale.

Non bastano gli investimenti infrastrutturali

In questo censimento permanente il tema della digitalizzazione è stato quindi interpretato integrando il monitoraggio degli investimenti in tecnologie digitali di tipo infrastrutturale con l’individuazione di investimenti più specializzati che possano segnalare uno spostamento verso il pieno utilizzo delle risorse digitali disponibili. In tale prospettiva, spiega l’Istat, per maturità digitale si intende l’investimento in infrastrutture digitali non come obiettivo a sé ma come condizione per ottimizzare i flussi informativi all’interno dell’impresa, con effetti positivi in termini di efficienza e competitività.

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L’utilizzo di infrastrutture digitali giunge a saturazione già tra le imprese meno digitalizzate (quelle con investimenti “soltanto” in 4 o 5 tecnologie); solo molto più lentamente si diffondono applicazioni più complesse e con maggiore impatto sui processi aziendali: appena il 16,6% delle imprese ha adottato almeno una tecnologia tra Internet delle cose, realtà aumentata o virtuale, analisi dei Big data, automazione avanzata, simulazione e stampa 3D.

Più mature le grandi imprese, trainano i servizi

Nell’adozione delle tecnologie digitali è marcata la differenza tra piccole e grandi imprese: ha effettuato investimenti digitali il 73,2% delle imprese con 10-19 addetti e il 97,1% di quelle con oltre 500 addetti. Meno significative sono le differenze territoriali: si passa dal 73,3% nel Mezzogiorno al 79,6% nel Nord-est.

A livello settoriale emerge il ruolo trainante dei servizi: le telecomunicazioni (94,2%), la ricerca e sviluppo, l’informatica, le attività ausiliarie della finanza, l’editoria e le assicurazioni hanno percentuali di imprese che investono in tecnologie digitali superiori al 90%. Il primo settore manifatturiero per investimenti digitali è la farmaceutica (94,1%), seguita a distanza dalla chimica (86,6%).

La valutazione del grado di maturità digitale delle imprese italiane con 10 addetti e oltre può essere sintetizzata in quattro punti: circa tre quarti delle imprese sono impegnate in investimenti digitali (ma con prospettive di ulteriore diffusione di tali attività); le imprese sotto i 100 addetti sono prevalentemente coinvolte nella “costruzione” del loro peculiare modello di digitalizzazione; le imprese con oltre 100 addetti sono invece alle prese con la difficile “sperimentazione” di nuove soluzioni tecnologiche e organizzative; soltanto il 3,8% delle imprese (che valgono il 16,8% di addetti e il 22,7% di valore aggiunto) è già nella fase di maturità digitale; tale quota è decisamente più elevata nel Nord-ovest (4,7%), tra le imprese con oltre 500 addetti (23%) e nell’industria (5,2%).

La classifica delle imprese italiane, dalle “asistematiche” alle “

In base al livello di maturità digitale Istat divide le imprese in quattro gruppi. Il primo comprende le imprese definite “asistematiche” che si caratterizzano per aver adottato (tutte) almeno un software gestionale nel periodo 2016-2018, assieme a investimenti limitati in tecnologie infrastrutturali come il cloud o la connessione a Internet via fibra ottica. Queste imprese hanno, ovviamente, la percezione delle potenzialità del digitale ma, per la loro dimensione o collocazione settoriale, hanno difficoltà a prefigurare una transizione sistematica verso un assetto organizzativo intensamente digitalizzato.

Nel secondo gruppo, il più numeroso (circa il 45% del totale, che assorbe il 28% degli addetti e il 21,6% di valore aggiunto) vi sono le imprese definite “costruttive” in relazione al loro sforzo di individuare una chiara strategia digitale. Ad esempio, si percepisce l’interesse ad affrontare le sfide e le opportunità offerte dalla connessione a Internet in mobilità (utilizzata in misura crescente anche all’interno di siti produttivi manifatturieri, oltre che nei settori dei servizi) ponendo, quindi, le condizioni per l’utilizzo integrato anche di altre tecnologie, come l’Internet delle cose o, in genere, la sensoristica in remoto. Già questo gruppo di imprese reputa essenziale l’investimento in sicurezza: in generale, al crescere del livello di maturità digitale cresce nelle imprese anche l’esigenza di mettere in sicurezza i propri apparati.

Il terzo gruppo è quello delle imprese “sperimentatrici”, ossia imprese arrivate alla soglia della maturità digitale che stanno sperimentando diverse soluzioni informatiche, anche combinate tra loro, in modo da ottenere i maggiori vantaggi in termini di efficienza e produttività. In questo gruppo compaiono i primi significativi investimenti nella valorizzazione dei flussi informativi (Big data) e in simulazione e robotica. È anche il gruppo più numeroso tra le imprese con oltre 100 addetti e ha un ruolo leader in virtù del peso relativo in termini di addetti e valore aggiunto totale (rispettivamente, 35,3% e 37,9%) e delle maggiori capacità finanziarie e tecniche.

Infine, il quarto gruppo è formato da imprese digitalmente “mature”, caratterizzate da un utilizzo integrato delle tecnologie disponibili, che sono un punto di riferimento per l’intero sistema delle imprese pur rappresentando solo il 3,8% del totale.

La presenza di tali gruppi di imprese è piuttosto omogena a livello settoriale, nel senso che la distribuzione non è molto diversa tra industria e servizi se non per il dato particolarmente elevato del 5,2% di imprese digitalmente “mature” nell’ambito dell’industria in senso ampio: un probabile effetto dei consistenti incentivi alla digitalizzazione resi disponibili a livello statale e regionale nel corso degli ultimi cinque anni.

Gli ostacoli: rinnovamento dei processi e della cultura

Il processo di digitalizzazione delle imprese sembra distinto in due stadi o, in alcuni contesti più complessi, anche multistadio. Appare infatti evidente la necessità di costruire in una prima fase le condizioni tecniche e culturali per avviare il processo di digitalizzazione che si completa, in una seconda fase, con l’adozione di soluzioni applicative più utili ed efficaci per aumentare efficienza e produttività.

Il passaggio da una fase all’altra può essere ostacolato da diversi fattori. In primo luogo, quello economico e, quindi, quello tecnico nella misura in cui le tecnologie infrastrutturali vengono spesso adottate con modalità standard mentre le tecnologie applicative necessitano di un meticoloso adattamento alle esigenze e alle condizioni tecniche specifiche dei singoli settori e delle singole imprese. Non va però sottovalutato l’aspetto organizzativo e di cultura aziendale perché è nella seconda fase che l’impatto della tecnologia digitale modifica i processi aziendali e, in alcuni casi, induce ristrutturazioni o riduzioni di personale. Gli effetti dell’epidemia Covid-19 hanno rappresentato, per le imprese con potenzialità di lavoro agile (smart working), un significativo test di come un fattore esterno ed imprevedibile abbia accelerato dei processi con infrastrutture digitali già adeguate ma posticipati a causa di resistenze a diversi livelli organizzativi.

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