POST COVID-19

Lo smart working aumenta la produttività, per il Pil scatto in avanti dell’1,2%

Lo rileva l’Ufficio Studi di Pwc secondo cui il ricorso al lavoro agile deve essere “sostenibile” e garantire un equilibrio tra tempi di vita e di lavoro: “Evitare il rischio burn out”. E sulle norme: “Serve una legislazione più chiara sul diritto alla disconnessione”

Pubblicato il 24 Nov 2020

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Lo smart working dà spinta al Pil. Lo rileva l’Ufficio studi PwC Italia: se tutti i lavoratori le cui mansioni lo permettono ricorressero allo smart working, il Pil italiano potrebbe infatti crescere fino a un +1,2%.

Nel post Covid, data la struttura del tessuto produttivo nazionale, il 35% di tutti i lavoratori italiani potrebbe facilmente usufruire dello smart working (dati Osservatrio Smart working del Polimi). Si tratta di una percentuale decisamente più ampia rispetto a quella che effettivamente vi ha fatto ricorso negli ultimi tempi: il 26%del periodo lockdown e il 2% del 2019.

Arrivarvi sarebbe un risultato importante, capace di offrire anche vantaggi strutturali all’intero sistema economico

Un aiuto per le donne

Ma le potenzialità dello smart working non si esauriscono qui. Come emerso nel corso del digital event “Italia 2021 – Competenze per riavviare il futuro”, organizzato da PwC Italia, il lavoro agile potrebbe infatti aiutare molte donne a entrare o rimanere nel mercato del lavoro. Secondo il Women in Work Index 2020 di PwC, se l’occupazione femminile raggiungesse il livello della Svezia (dove è occupato full-time il 60% delle donne in età lavorativa, contro il 32% dell’Italia), l’impatto sul Pil italiano sarebbe pari a 659 miliardi di dollari.

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A rendere in qualche modo inevitabile la transizione ad un’organizzazione del lavoro più flessibile è anche la progressiva insostenibilità di un modello che ha portato le persone a vivere in ufficio, sacrificando per il posto di lavoro altre sfere di socialità e realizzazione personale. Il 22% degli italiani, secondo la European Working Condition Survey evidenzia che lavora più di 40 ore a settimana e il 9% dei lavoratori almeno una volta al mese deve recarsi in ufficio con scarso preavviso. Le richieste non si traducono però in maggiore flessibilità: il 33% degli intervistati ritiene difficile riuscire a prendersi due ore libere durante l’orario di lavoro per esigenze personali o familiari.

Rischio burn-out fra le criticità

Va comunque ricordato che esiste una vasta e letteratura sulle criticità alle quali vanno incontro gli smart worker. L’Harvard Business Review, già nel 2018, invitava a porre attenzione al rischio di burn-out tra i lavoratori in smart working, ricordando come questa nuova modalità di lavoro richieda sforzi sia ai lavoratori (che devono imparare a coniugare senza sovrapposizioni diversi ambiti della propria vita) sia ai loro supervisori.

“Incremento di efficienza con livelli contenuti di smart working”

“Smart working significa prima di tutto una diversa gestione del tempo – spiega Andrea Toselli, presidente e ad di PwC Italia -. L’efficienza a lavoro migliora con livelli contenuti di smart working, ma diminuisce con uno smart working eccessivo, il che implica l’esistenza di uno sweet-spot in cui l’efficienza e quindi la produttività è massimizzata a livelli intermedi. In particolare, il tempo dedicato dai pendolari per il trasferimento, se utilizzato diversamente, potrebbe incrementare il Pil e, tra l’altro, la riduzione della presenza fisica nelle grandi città potrebbe rappresentare un vantaggio anche per i business stessi. Analisi sembrano infatti dimostrare che città di medie dimensioni possano risultare i migliori luoghi per la nascita e lo sviluppo di business profittevoli”.
“In questo contesto – continua Toselli – una necessaria nuova e più flessibile organizzazione del lavoro deve porsi l’obiettivo di incoraggiare e facilitare anche l’occupazione femminile, evitando di trasformarsi in una ancora più complessa gestione del lavoro domestico e di cura, che per ragioni socio-culturali ricadeva già prima del lockdown per la maggior parte sulle donne. Se le donne si sentono costrette ad abbandonare il proprio percorso professionale, le aziende rischiano di perdere la possibilità di inserire figure femminili nei ruoli a più alta seniority e di leadership, con effetti negativi sotto molteplici punti di vista”.

Ma come incentivare un nuovo modello di lavoro agile?

L’analisi dei migliori casi di implementazione dello smart working proposti dal Politecnico di Milano (tutti relativi a progetti avviati prima dello scoppio della pandemia) evidenzia che le aziende che prima delle altre si sono preparate a questo cambiamento hanno individuato quattro aree di intervento: tecnologie, formazione, change management e organizzazione degli spazi. Quel che ne emerge è che occorre favorire la parità di retribuzione e le pari opportunità, sviluppare interventi strutturali e infrastrutturali che permettano di superare ostacoli materiali – oggi ineludibili – e servizi di supporto alla cura dei familiari.
Ma non solo. Il passaggio a una nuova fase di ampia diffusione di questa modalità richiede anche un nuovo intervento legislativo che faccia chiarezza su alcuni temi, a partire dall’equilibrio da trovare per quanto riguarda diritto alla disconnessione, welfare aziendale e responsabilità legate a cybersecurity e data protection.

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