IL REPORT

Smart working: il 15% dei lavoratori italiani in modalità “online”

Secondo un’indagine di Infojobs, oltre il 70% delle imprese è attrezzato per consentire il lavoro a distanza ma restano limitate le attività che si possono svolgere senza presenza fisica. E se è vero che molte aziende puntano a riorganizzarsi nel post-emergenza, il 30% intravede ostacoli di natura normativa

Pubblicato il 08 Apr 2020

Domenico Aliperto

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L’Italia ha risposto all’emergenza coronavirus utilizzando in maniera massiccia lo smart working: il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto. Tuttavia, è chiaro che non tutte le tipologie di business o non tutte le funzioni possono essere svolte in smart working, e i lavoratori italiani che operano in questa modalità sono solo il 15%. La parte restante della forza lavoro sembra attualmente a casa senza reddito (45% dei rispondenti, percentuale che sale al 50% per le donne), in ferie o in congedo (25%) mentre il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro, senza nessuna modifica alle modalità di prestazione del servizio. A dirlo è un’indagine condotta da Infojobs, che analizza anche le aspettative future di imprese e utenti rispetto allo sviluppo del lavoro agile.

“Con la nostra nuova indagine vogliamo raccontare come il Paese stia affrontando il lavoro in questo momento complesso, mettendo a confronto il punto di vista dei lavoratori e quello delle aziende”, afferma in una nota Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs. “Lo smart working è stato ben accolto in generale, come strumento per garantire operatività e reddito preservando salute e sicurezza, e la sua adozione ha subito una crescita esponenziale: per gran parte delle nostre aziende e lavoratori questa emergenza è stata l’occasione per attivare il lavoro da remoto per la prima volta in assoluto”.

Ad oggi, il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta, mentre il 29% l’ha esteso a più figure o su più giorni. Percentuali ancora più polarizzate sui lavoratori, dove il 79% afferma di adottarlo per la prima volta, mentre per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.

Opportunità e criticità nell’adozione dello smart working

Ma in che modo le aziende italiane valutano questa trasformazione? Il 64,5% delle aziende dichiara che i dipendenti hanno apprezzato questa decisione (voluta o dovuta in base alle circostanze legislative) che non ha avuto contraccolpi sulla produttività (39%), o ne ha avuti ma in maniera limitata (25,5%). Le difficoltà comunque non mancano e il 19% delle aziende sostiene che lo smart working non stia funzionando, complici la struttura o il business che mal si sposano con il lavoro da remoto. In linea più generale, le maggiori criticità sono legate soprattutto a problemi di tipo organizzativo (44%) per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e relazionale (42%) perché manca il confronto quotidiano e il lavorare fianco a fianco. Solo il 14% delle aziende dichiara problemi legati alla tecnologia, rilevante soprattutto per quelle aziende che hanno risposto all’emergenza ma non erano preparate a gestirla a livello di strumenti e competenze interne.

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Sul fronte dei lavoratori, il 38% del campione intervistato da InfoJobs si dichiara fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento, mentre il 27% apprezza le possibilità date dalla tecnologia, che mette a disposizione un ufficio “virtuale” dove è possibile continuare a lavorare come prima. Solo il 7% dice di essere meno produttivo soprattutto a causa degli impegni familiari da gestire in contemporanea, percentuale che sale al 33% per le donne con figli conviventi.

Il 17% dei lavoratori apprezza la possibilità di gestire insieme esigenze personali e lavorative, con una percentuale che sale al 30% per le donne con figli. Gli italiani che si sono inoltre trovati a dover far fronte alla creazione di spazi di lavoro fra le mura domestiche, notano con piacere il tempo risparmiato per gli spostamenti da casa all’ufficio (49%) e gli orari flessibili (19,5%), oltre che minori distrazioni fra le postazioni di lavoro (11%).

Ci sono però anche diversi aspetti di cui si sente la mancanza in questa nuova gestione della routine lavorativa, in primis la socialità del luogo di lavoro e il confronto quotidiano con i colleghi (parimerito al 27%). Seguono la comodità della propria postazione (11%) o il piacere di prepararsi alla giornata con outfit e make-up (10%).

Una rivoluzione in arrivo? Le aziende sono caute

“Su ciò che avverrà una volta superata l’emergenza sanitaria, le aziende sono caute a parlare di rivoluzione”, chiude Filippo Saini. “Anche i lavoratori sembrano apprezzare le potenzialità del lavoro da remoto, ma sono ben lontani dall’augurarsi che possa essere la modalità esclusiva e prioritaria di domani. In generale, dalla nostra indagine emerge un’Italia molto pragmatica e realista, che distingue le misure eccezionali dai propri desideri e dalla speranza per la nuova normalità di domani”

Nel dettaglio, per il 30% delle aziende non ci saranno cambiamenti delle modalità di lavoro rispetto al business pre-Covid-19, mentre il 28% dovrà valutare gli sviluppi legislativi per implementare a regime lo smart working e il 24% lo abiliterà ma solo per una parte dei dipendenti. Concordi su un approccio prudente anche i lavoratori, il 71% vorrebbe il lavoro agile uno o due giorni a settimana (89% per le donne con figli) mentre solo il 16% auspica un full time smart. Dissente il 13%, per cui è meglio l’ufficio senza se e senza ma.

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