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Web tax a fine 2018, al G20 pressing Ue per la soluzione “ad interim”

Il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici dà supporto alla linea sostenuta anche dall’italia: adozione per dicembre di una tassazione provvisoria su Google, Facebook, Amazon e gli altri colossi di Internet per sanare le disparità fiscali. Il rischio è un’esasperazione della Trade War con gli Stati Uniti di Trump

Pubblicato il 23 Lug 2018

Patrizia Licata

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Al G20 svoltosi in Argentina nel fine settimana è tornata protagonista la web tax: per il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici, l’Unione europea cercherà di adottare entro fine anno una formula “provvisoria” che tasserà i ricavi dei colossi di Internet.

Nel comunicato finale scaturito dall’incontro dei ministri delle Finanze del G20 e dei governatori delle banche centrali a Buenos Aires si ribadisce l’impegno ad affrontare l’impatto della transizione a un’economia digitale sul sistema fiscale internazionale entro il 2020, ma senza fornire dettagli. L’Unione europea non intende aspettare e preme per avere subito una forma di tassazione che rimetta i giganti del web “in riga”: “I colossi del digitale devono pagare la loro quota di tasse, qui parliamo fondamentalmente di equità”, ha affermato Moscovici. Moscovici ha detto che porterà avanti la proposta di una tassa sui ricavi da adottare entro la fine del 2018, in linea con quanto dichiarato nei giorni scorsi dal ministro delle finanze austriaco Hartwig Löger: una web tax da realizzare entro la fine del 2018 sarà tra gli obiettivi prioritari della presidenza austriaca nella seconda metà di quest’anno.

Il punto di vista di Löger è condiviso da Francia, Spagna e Italia , ma altri paesi Ue, in particolare Irlanda, Lussemburgo e Svezia, sono contrari a questo approccio che si scosta dai principi concordati a livello internazionale e complicherebbe gli sforzi fatti per raggiungere un accordo globale sul calcolo degli utili imponibili. Inoltre, in piena trade war innescata da Donald Trump, il rischio è che il governo americano adotti contro-misure in reazione alla web tax europea, complicando i rapporti commerciali tra Usa e Ue.

“Una delle grandi sfide è che la tassa sull’economia digitale si traduce principalmente in tassa sulle aziende americane, attualmente i maggiori player del settore, per cui gli Stati Uniti hanno la percezione che questo sia un attacco alla loro digital economy, ma non è assolutamente così”, ha affermato Hubert Fuchs, rappresentante del Consiglio d’Europa al G20 e anche segretario alle finanze dell’Austria.

A marzo la Commissione europea ha avanzato due diverse proposte per garantire una migliore tassazione delle attività digitali all’interno dell’Unione. La prima prevede un’imposta temporanea del 3% sui ricavi delle aziende digitali che fatturano almeno 50 milioni nel perimetro Ue. La seconda, di lungo termine, punta invece a tassare gli utili generati in Europa dalle digital companies che in un anno raggiungono almeno 7 milioni di ricavi in un Paese, 100 mila utenti o 3 mila contratti di business. Nella prima forma, l’obiettivo della tassa sono i ricavi da attività specifiche come la pubblicità online e la vendita dei dati degli utenti; Bruxelles ha stimato che la proposta coinvolgerebbe 150 -200 fra le maggiori tech company e potrebbe raccogliere fino a 5 miliardi di euro l’anno – cifra che i detrattori considerano però ottimista. Il prelievo, che richiede l’unanimità degli Stati membri, viene inteso come misura temporanea da adottare parallelamente allo svolgimento dei negoziati internazionali in corso all’interno dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Il governo italiano si è detto pronto a sostenere la web tax europea: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, parlando alla Camera in vista del recente Consiglio europeo, ha dichiarato che “Abbiamo bisogno di un’Europa più equa anche a livello fiscale. L’attuale assetto europeo non garantisce una tassazione equa, soprattutto per quanto riguarda le attività delle industrie del web, le digital companies”.

Un ostacolo importante è di natura tecnica, ovvero la definizione di tassazione per l’economia digitale. La Commissione europea sostiene di puntare a una soluzione globale basata su un metodo innovativo per calcolare le aliquote; nel frattempo, però, per molti dei paesi membri occorre sanare la disparità di trattamento fiscale tra imprese tradizionali e imprese del web e recuperare almeno parte del gettito mancato. “Non possiamo accettare che le Pmi europee paghino tasse di 40 punti percentuali più alte di quella cui sono soggetti i colossi di Internet”, ha detto un rappresentante Ue al G20 all’agenzia Reuters. Una tassa equa sui colossi del digitale sarebbe anche una dimostrazione della capacità dell’Europa di muoversi unita e di agire con forza davanti al pressing del presidente Trump, ha aggiunto la fonte.

Per Fuchs, occorre trovare un sistema di calcolo innovativo che preleva laddove c’è la produzione massima di guadagno: almeno per ora, il fatturato. Per i membri non-Ue del G20, tuttavia, la soluzione ad interim non è efficace: il segretario al Tesoro australiano Scott Morrison ha invitato a dare la priorità alla risoluzione del nodo tecnico di “come calcolare”gli introiti ai fini fiscali; per Morrison le soluzioni provvisorie sono fondamentalmente solo una forma di Iva sulla vendita di pubblicità e non guardano alle ampie zone inesplorate tra cui il valore dei dati creati dagli utenti di servizi come Facebook nei diversi paesi.

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