IL CASO

Bitcoin, le criptovalute “energivore” minacciano la green economy cinese

Secondo uno studio pubblicato su Nature Communications, il continuo aumento di energia elettrica utilizzata per alimentare le operazioni di mining rischia di avere un impatto negativo sugli obiettivi di sostenibilità fissati dal governo di Pechino

Pubblicato il 09 Apr 2021

Domenico Aliperto

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La Cina potrebbe mancare i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni a causa dell’intensa attività di mining di Bitcoin. A dirlo è uno studio pubblicato questa settimana su Nature Communications ripreso da Cnbc. Secondo l’indagine condotta da accademici dell’Università dell’Accademia cinese delle scienze, della Tsinghua University, della Cornell University e dell’Università del Surrey, circa il 75% delle operazioni di “estrazione” di Bitcoin nel mondo viene per l’appunto effettuato in Cina, dove l’elettricità è a basso costo e si dispone di un accesso relativamente facile ai produttori che producono hardware specializzato. Di conseguenza, l’impronta ambientale del Bitcoin della nazione nel complesso è grande quanto una delle sue dieci maggiori città, afferma il documento.

L’impatto del Bitcoin sui piani di sostenibilità del governo cinese

Il presidente Xi Jinping ha dichiarato lo scorso anno di puntare al picco delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e alla neutralità carbonica entro il 2060. Ma nell’enunciare questi obiettivi non erano stati messi in conto i Bitcoin. Il mining infatti utilizza enormi quantità di elettricità, soprattutto se condotto su larga scala e rappresenta un’attività che sconfessa l’obiettivo cinese di diventare un Paese basato su un’economia sostenibile.

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“Senza interventi appropriati e politiche fattibili, l’intensa attività di mining in Cina può crescere rapidamente come una minaccia che potrebbe potenzialmente minare lo sforzo di riduzione delle emissioni avvenuto nel paese”, hanno scritto gli autori dello studio. In tutto il mondo, l’estrazione di Bitcoin consuma circa 128,84 terrawattora (Twh) all’anno di energia, più di interi paesi come Ucraina e Argentina, secondo il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index, un progetto dell’Università di Cambridge.

“Senza alcun intervento politico, il consumo energetico annuale della blockchain di Bitcoin in Cina dovrebbe raggiungere il picco nel 2024 a 296,59 Twh e generare corrispondentemente 130,50 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio”, rimarca la ricerca. Gli autori fanno notare che entro quell’anno l’utilizzo di energia per l’estrazione di Bitcoin da parte della Cina supererà il consumo energetico totale dell’Italia o dell’Arabia Saudita.

Ma per qualcuno lo studio fornisce un’analisi incompleta

C’è però chi non è d’accordo con questa analisi, che secondo alcuni critici manca dei dati necessari per supportarla. Nic Carter, partner della società di venture capital Castle Island Ventures e co-fondatore del sito web di criptovalute Coin Metrics, ha per esempio scritto su Twitter che il documento “lascia molto a desiderare. “Mi aspettavo che la maggior parte della ricerca riguardasse dati raccolti a livello provinciale che mettessero in evidenza il mix energetico dei miner cinesi”, ha aggiunto Carter. “Ma questo manca. Invece, affermano di averne tenuto conto … ma non mostrano il loro lavoro. Affermano solo di averlo quantificato”.

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