INNOVAZIONE INDUSTRIALE

Impresa 4.0: “Attenzione a non perdere il passo”

Un monito da un convegno del Quadrato della Radio: “Si è partiti bene col piano Calenda, ma bisogna andare oltre”. La necessità di fare rete coinvolgendo territori, Pmi, aziende, università. Il problema delle professionalità mancanti

Pubblicato il 29 Ott 2018

industria-150909173607

A che punto è l’impresa 4.0 in Italia e quali sono le sue prospettive? Il tema è stato al centro del tradizionale convegno autunnale dell’associazione Quadrato della Radio svoltosi a Pontecchio presso Villa Griffone, sede della Fondazione Guglielmo Marconi.

Va subito detto, come ha ricordato il presidente del Quadrato della Radio Stefano Pileri, che un’importante spinta all’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nei processi aziendali è venuta dal piano Industria 4.0 messo a punto dal precedente governo e che ora non va assolutamente abbandonato.

Il piano ha funzionato per la sua facilità d’uso e la sua semplicità che ha consentito alle imprese di accedere alle agevolazioni in maniera pressoché automatica: “Niente bandi, niente domande, niente selezioni ma massima semplificazione attraverso i meccanismi del credito d’imposta”, ha osservato Pileri.

Va però rilevato come i numeri dimostrano che ad approfittare della spinta di industria 4.0 sono state soprattutto le grandi e alcune medie imprese. Il grosso del tessuto produttivo italiano, composto soprattutto da Pmi, non ha saputo valersi delle agevolazioni messe in campo dal governo Gentiloni.

“Si tratta di un limite che non può non preoccupare – ha sottolineato Francesco Sacco, docente alla Sda Bocconi, Università dell’Insubria – Siamo di fronte a una profonda trasformazione industriale guidata dai dati e dalla capacità di gestirli e interpretarli mettendo in comunicazione l’intera catena del valore: fornitori, produttori, clienti. Chi non saprà interpretare e cavalcare questo profondo cambiamento, rischia parecchio”.

Ma come fare in un panorama industriale così parcellizzato come quello italiano? Per Sacco la risposta non può chiamare in causa soltanto i singoli imprenditori, ma deve vedere coinvolti anche le associazioni di categoria, il sistema politico nazionale e locale, le università per “affrontare questa trasformazione in logica di filiera”. Non si tratta di una mission impossible anche se difficile: dopotutto, i distretti industriali hanno mostrato come le imprese italiane, anche di dimensioni minori, sono state in passato capaci di collaborare fra loro e di fare sistema.

Un esempio di come questa collaborazione sia possibile anche oggi è venuto dall’intervento di Alessandro Berzolla, Coo di Dallara Automobili, un’azienda che dell’innovazione digitale ha fatto il propri mantra. “Siamo nati come un’impresa manifatturiera in cui la nostra innovazione fondamentale era la fibra di carbonio; ci siamo trasformati in una impresa delle conoscenza”.

Dalla fibra di carbonio, l’emblema dell’azienda è diventato il simulatore di guida: grazie alla realtà aumentata e a un modello matematico con 64.000 variabili è possibile progettare una vettura e verificarne i comportamenti effettivi su pista prima ancora che il prototipo sia realizzato.

“I nostri pilastri – ha ricordato ancora Berzolla – sono dati, informazione, conoscenza, competenza”. Tuttavia, affinché nella realtà d’oggi un’azienda sia competitiva “deve essere competitivo anche il territorio”. Un esempio viene proprio dall’”Italian Motor Valley” che si è venuta creando attorno a Modena. “Lavoriamo con i nostri fornitori come se fossero nostri partner. Non a caso partecipano anche loro allo sviluppo dei nostri prototipi”.

Sulla necessità di dar vita ad un “ecosistema” di partnership ha insistito anche Francesco Bandinelli, general manager di Autostrade tech. La sensoristica e i nuovi servizi di automotive trasformeranno profondamente le strade che diventeranno dei sistemi sempre connessi. Ciò cambia profondamente la prospettiva del settore perché “il guidatore non sarà più il mediatore fra strada e veicolo”. Piuttosto, sarà un fruitore di servizi di mobilità in uno scenario di “mobility as a service” in cui strade e auto saranno sempre connesse e dialogheranno fra loro.

La connettività sarà dunque fondamentale: per le imprese industriali come per chi fornisce servizi. Da questo punto di vista, il 5G, la nuova generazione delle telecomunicazioni, può offrire opportunità di come mai prima sinora, in particolare nei servizi wireless: sia come throughput sia come bassissima latenza del segnale, ha osservato Sandro Dionisi, Head of Security-ICT Risk Management di Telecom Italia.

Le telecomunicazioni – ha sostenuto ancora Dionisi – possono trovare un nuovo protagonismo in una realtà industriale in cui IT e OT sono chiamate alla convergenza. Il cloud sarà protagonista in un mondo di interrelazioni produttive ed economiche basato sull’Internet delle cose e dei servizi. “La carta d’identità della fabbrica intelligente avrà infatti come caratteristiche interoperabilità, virtualizzazione, decentralizzazione, real time capability, orientamento ai servizi, modularità. Tutto ciò ha bisogno di connessione e comunicazione”.

Ma la “fabbrica intelligente” ha necessitò anche di professionalità e competenze all’altezza. Che purtroppo in Italia scarseggiano. Anche a causa di un livello di scolarizzazione universitaria nettamente inferiore al resto d’Europa, ma anche a causa della cronica riottosità dei giovani italiani ad avvicinarsi ai corsi di studio scientifici.

Angelo Oreste Andrisano, rettore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha ricordato l’esperienza delle lauree professionalizzanti: un percorso di studi triennale costruito “coinvolgendo necessariamente le imprese” per fornire ai giovani quelle professionalità intermedie di cui c’è grande esigenza nel sistema produttivo ma che oggi non vengono formate né dalla scuola secondaria (c’è necessità di un percorso formativo ulteriore) né dai corsi universitari tradizionali (slegati dalle esigenze del mondo produttivo o comunque troppo impegnativi per le esigenze professionali dello studente)”.

Purtroppo, però, il nuovo sistema delle laure professionalizzanti è ancora nella fase sperimentale e stenta a decollare: per ragioni burocratiche ma anche per la scarsa conoscenza o insensibilità di giovani e famiglie. Eppure, l’Italia è fortemente in ritardo nei percorsi formativi post scuola secondaria. Basti pensare che da noi la partecipazione a questo tipo di corsi è “irrisoria”: in tutto 8.000 studenti contro i quasi 800.000 della Germania.

“È necessaria – ha sostenuto Andrisano – una grande campagna di orientamento coinvolgendo le scuole e le famiglie, ma anche le imprese e tutti gli attori coinvolti”.

“Tuttavia – ha aggiunto Salvatore Improta, segretario del Quadrato della Radio – anche le imprese devono capire la necessità di offrire il giusto valore alle professionalità delle giovani generazioni che entrano in azienda, riconoscendone l’importanza e la qualità”.

@RIPRODUZIONE RISERVATA

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!