COMPETENZE

Trasformazione digitale a rischio, in Italia pesa lo skill gap nell’Ict

L’Osservatorio delle Competenze Digitali delle principali associazioni di categoria evidenzia lo scollamento domanda-offerta: migliaia di web vacancy. Prevista una carenza di 5.100 laureati nel biennio 2019-202

Pubblicato il 11 Dic 2019

Patrizia Licata

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Per accelerare sul digitale occorre accelerare su chi ha le competenze per abilitarlo: più professionisti Ict e più soft skill sono tra i fattori determinanti per ridurre il gap domanda-offerta di competenze digitali. Ma l’Italia è ancora indietro, sia nel formare le competenze che servono alle aziende, sia nel creare una cultura digitale condivisa. Questa la fotografia che emerge dalla quinta edizione dell’Osservatorio delle Competenze digitali, condotto dalle maggiori associazioni Ict in Italia: Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, con il contributo di Cfmt e il patrocinio di Miur e Agid.

Il web è il maggior canale in cui le aziende ricercano professionisti Ict e questo ne giustifica l’uso come termometro dell’andamento del mercato del lavoro digitale: nel 2018 sono circa 106.000 gli annunci di lavoro rivolti a profili Ict a livello nazionale, con una crescita superiore al 27% rispetto al 2017. Ma lo scollamento tra domanda e offerta di professionisti del digitale è enorme.

Vacanti le nuove professioni del digitale

Quasi una ogni due posizioni vacanti (46%) è relativa agli Sviluppatori software (i cosiddetti developer), che registrano quasi 49.000 web vacancy a fine 2018. Per molte piattaforme web addirittura il 30% degli annunci di ricerca di programmatori rimane scoperto per 60 giorni o più, a indicare una mancanza di risorse adatte per ricoprire queste posizioni.  La seconda e terza posizione più ricercata dopo i developers sono quelle del digital consultant (più di 12.000 vacancy) e del digital media specialist (quasi 7.000 vacancy).

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Ci sono oltre 4.500 posti vacanti per le nuove professioni altamente specialistiche legate alla trasformazione digitale e non ancora configurate nello standard e-CF: Artificial intelligence specialist, Big data specialist, Blockchain specialist, Cloud computing specialist, IoT specialist, Mobile specialist e Robotics specialist.

Mancano laureati Ict

La mancanza di specialisti Ict in azienda è destinata a peggiorare perché in Italia non ci sono sufficienti professionisti con le competenze cercate: troppi diplomati e pochi laureati rispetto alla domanda, che si indirizza verso risorse qualificate. Per il triennio 2019-2021 si prevedono fra le 67.100 e le 94.500 richieste, ma il sistema formativo fornirà meno di 82.000 risorse, di cui due terzi diplomati e un terzo laureati. Il totale è in crescita (erano 73.000 nel triennio 2017-19), ma ci sono troppi diplomati (9.300 laureati e 17.200 diplomati stimati nel 2019). Il gap risultante è quindi in peggioramento, con una carenza di 5.100 laureati, pari al 35% del fabbisogno (era 4.400 nel 2017), e un surplus di circa 8.400 diplomati, ovvero il 95% in più di quanto necessario (era 8.000 nel 2017). Questi hanno qualifiche Ict che non sono sufficienti rispetto alle reali esigenze del mercato.

L’Università cerca comunque di stare al passo: sono in espansione le offerte formative specialistiche che servono al mercato e sono in crescita per le lauree Ict i focus su Big data e Data science, Sicurezza informatica e Cybersecurity, Intelligenza artificiale e IoT. Resta limitata l’offerta formativa di insegnamenti in area Cloud computing, mentre manca ancora la copertura dei temi sull’utilizzo in ambito aziendale e gli aspetti contrattualistici/legali e finanziari.

La metà del lavoro è nel Nord-ovest

Attualmente il 45% delle richieste di professionisti Ict arriva da aziende nel Nord-ovest d’Italia: anche se diminuisce del 3% rispetto all’anno precedente, resta di gran lunga l’area geografica in cui uno specialista  può trovare lavoro. Il 26% arriva dal Nord-est e il 20% dal centro-Italia; fanalini di coda Sud e Isole con il 6%.

Il settore Ict genera la quota maggiore di web vacancy con 4 su 10 posizioni aperte nel 2018 (erano 6 su 10 nel 2017). Molto differenziata la distribuzione degli annunci negli altri macro-settori economici, con una chiara maggioranza di annunci nel settore dei Servizi (18%) e Industria (15%).

Sul fronte retributivo lavorare nell’Ict paga: nelle aziende di Informatica ed Elettronica crescono in maniera significativa le retribuzioni dei Quadri (+4,4%) e degli Impiegati (+2,7): gli Impiegati di Informatica ed elettronica, rispetto alla media generale delle retribuzioni, guadagnano di più.

Servono anche le soft skill

L’Osservatorio delle Competenze digitali ha misurato anche quante competenze digitali servono all’interno del profilo professionale di un candidato: per le professioni Ict il “Digital skill rate” è del 52%. Sempre più rilevanti le soft skill: nei lavori Ict pesano da una media del 30% a punte del 63%.

Anzi, dall’indagine condotta tra luglio e settembre 2019 presso 50 aziende Ict emerge che le soft skill, con uno score medio di 4,1 su 6, sono nettamente più necessarie delle skill legate ai processi Ict (3,61 su 6) e alle tecnologie (3,23 su 6). Per le soft skill i bisogni formativi più urgenti riguardano: lo sviluppo delle capacità comunicative, team management, problem solving, proattività e gestione dello stress.

Continua la domanda di competenze digitali anche nelle professioni non-Ict, dove, in media, il Digital skill rate è del 13,8%, mentre la richiesta di competenze trasversali (Soft skill rate) è del 43%.

Le priorità secondo le aziende

Dalle interviste alle aziende effettuate per questa quinta edizione dell’Osservatorio delle Competenze digitali emergono alcuni interventi che sono considerati subito necessari per superare lo skill gap in Italia: rafforzare training e aggiornamento delle competenze del personale docente; aumentare la consapevolezza che i lavori più qualificati aumenteranno e i lavori meno qualificati saranno sostituiti da macchine intelligenti; stimolare l’upskilling della forza lavoro Ict nelle aziende; riallineare continuamente i percorsi di studio all’innovazione e all’interdisciplinarietà; potenziare gli insegnamenti su nuove tecnologie, metodologie e competenze “soft”; assicurare un ecosistema più favorevole alla diffusione di una cultura imprenditoriale tra i professionisti dell’Ict; moltiplicare le opportunità per le esperienze di apprendistato; accrescere le opportunità di imprenditorialità digitale dei neolaureati Ict; creare percorsi di laurea Ict trasversali o di “filiera” (es. Cloud, Cognitive computing); promuovere network collaborativi di filiera come modelli di accelerazione.

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