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Cloud, leva per la musica digitale: ma servono licenze paneuropee

Il Commissario Ue all’Agenda digitale Neelie Kroes: “La nuvola trampolino per l’offerta legale”. Ma manca all’appello un sistema unico di licensing

Pubblicato il 05 Mar 2012

Patrizia Licata

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Il cloud computing entra anche nel mondo della musica, permettendo l’accesso a contenuti online legali e incrementando le entrate per le etichette, ma, sottolineano le autorità europee, la presenza di diversi sistemi nazionali di licensing in Europa può rappresentare un ostacolo allo sviluppo della cloud music.

Il valore aggiunto della musica nella nuvola (quindi conservata e trasmessa da server remoti) è la portabilità: gli utenti possono ascoltare la musica sul servizio cui si sono iscritti da qualunque dispositivo, in linea con il nuovo trend dell’ascolto della musica, sempre meno legato a un terminale (che sia il pc o l’iPod) e sempre più all’accesso: quel che conta è solo essere abbonati a un servizio di musica digitale.

“Penso che il cloud rappresenti una grande opportunità per portare nuovi contenuti legali agli europei”, ha dichiarato il commissario alla Digital Agenda Neelie Kroes al sito EurActiv.

L’industria saluta con favore questi nuovi sviluppi del mercato: le grandi case produttrici si aspettano un aumento del traffico nei loro negozi digitali, se i clienti vorranno sempre di più usare il cloud per conservare e accedere alla musica. “Penso che la presenza di nuovi servizi di accesso possa far crescere l’intero mercato”, dichiara Mark Piibe, executive vice president di EMI Music. “Il mercato dimostra che gli utenti sono disposti a pagare per la portabilità della musica”, afferma Charles Caldas, chief executive della Merlin, che rappresenta le etichette discografiche indipendenti.

L’accesso alla musica sta anche diventando un’importante alternativa al possesso dei singoli brani: gli utenti continuano certo a usare il download, ma apprezzano l’ascolto via streaming. “La coesistenza dei due modelli di consumo fa prevedere un aumento del business nel futuro”, dichiara Rob Wells, presidente della divisione digitale dell’etichetta Universal. “Il mercato della musica digitale deve ancora raggiungere il pieno sviluppo”.

I dati dell’Ue forniscono sostegno alle aspettative dell’industria musicale in merito alla cloud music. Tra il 2009 e il 2010 le vendite di servizi musicali nella nuvola sono cresciute del 4,6%, mentre l’industria globale della musica digitale ha incrementato le vendite del 5,3%. In più – aspetto non trascurabile – la cloud music viene gestita tramite servizi in licenza che rendono disponibile solo musica protetta da copyright e rappresenta quindi un incentivo a non ricorrere a contenuti piratati.

I maggiori player del settore sono già molto noti: la start-up svedese Spotify, nata nel 2008, offre accesso a musica legale gratuitamente, ma con una quota di 5 euro al mese lo streaming è illimitato e senza pubblicità. Per 10 euro al mese si può scaricare la musica direttamente dal cloud ai cellulari.

Lo scorso novembre nell’arena è entrata anche Apple iTunes, leader di mercato nella musica digitale, che ha introdotto negli Stati Uniti il servizio iTunes Match (ora sta entrando anche in Europa): offre ai suoi abbonati download di contenuti dal cloud.

Ci sono anche altri servizi, tra cui Google Music, che però non è disponibile in Ue, forse proprio per quell’ostacolo ai servizi cloud di cui si parlava: la mancanza di un mercato unificato del licensing. Lo stesso Spotify, il player principale nel nostro continente, non è presente in tutti i paesi dell’unione. “Io sono abbonato in Belgio, ma non posso accedere alla mia raccolta quando sono in Grecia, perché Spotify non opera lì”, dichiara Kostas Rossoglou, legal officer dell’associazione di consumatori Beuc. Ma anche se Spotify fosse disponibile in tutti i paesi Ue, l’accesso non sarebbe garantito, perché dipende dalle licenze, che sono trattate a livello nazionale. La soluzione sarebbe dunque un sistema di licenze pan-europeo, ma resta per ora un miraggio perché le società che raccolgono le licenze difendono i loro privilegi nazionali, ergendo – lamentano le autorità Ue – delle barriere a un mercato interno Ue che dovrebbe essere senza confini.

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