IL CASO

Diffamazione online, la Cnn chiude l’account Facebook in Australia

Scontro tra l’editore americano e l’azienda di Menlo Park sulla possibilità di disabilitare i commenti pubblici. Di cui i media sono legalmente responsabili dopo una controversa sentenza della Corte suprema. Si rischia il fuggi fuggi dal social?

Pubblicato il 29 Set 2021

Patrizia Licata

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La Cnn chiude l’accesso alla sua pagina Facebook in Australia. La decisione della testata americana (di proprietà di At&t) arriva dopo la storica e discussa sentenza della Corte suprema del Paese che ha deciso che i giornali e le emittenti Tv sono legalmente responsabili per i commenti del pubblico – diffamatori o no – ai loro articoli sul social media.

La decisione della Cnn però si lega anche al fatto che Facebook si è rifiutata di aiutare la testata Usa a disabilitare i commenti pubblici ai suoi articoli postati in Australia.

Il braccio di ferro tra le testate giornalistiche e il social media è tutt’altro che risolto.

La controversa sentenza australiana

La Cnn è il primo grande gruppo dei media a rinunciare ad essere presente su Facebook in Australia dopo la decisione della Corte Suprema. E potrebbe dare il via a una lunga serie di abbandoni del social network da parte degli editori.

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La sentenza australiana è legata a una causa ancora in corso depositata da un ex detenuto di un carcere minorile, Dylan Voller, che si è ritenuto danneggiato dai post pubblicati dagli utenti sulle pagine Facebook di Sydney Morning Herald, The Australian, Centralian Advocate, Sky News Australia e The Bolt Report.

La Corte suprema australiana ha sentenziato con 5 voti favorevoli e 2 contrari che le testate giornalistiche – che siano giornali o notiziari televisivi, come in questo caso – sono “editori” dei commenti presunti diffamatori postati da terze parti sulle loro pagine Facebook ufficiali.

Altri editori pronti a oscurare Facebook in Australia

I media hanno ovviamente protestato chiedendo una modifica legislativa per portare l’Australia “in linea con Paesi democratici” come Stati Uniti e Gran Bretagna dove le leggi proteggono gli editori dalle conseguenze scatenate dai commenti postati online e di cui non si ritengono responsabili. La Corte suprema australiana, invece, pensa che le testate giornalistiche siano responsabili in quanto, avendo sollecitato i commenti degli utenti su Facebook, sono partecipi della loro pubblicazione.

L’Australia sta revisionando le sue leggi sulla diffamazione ma nel frattemp  diverse testate giornalistiche internazionali stanno pensando di seguire la mossa della Cnn, anche perché l’audience australiana su Facebook non rappresenta una quota di pubblico strategica. 

Lo scontro sulle “responsabilità”

Cnn ha anche riferito che si è rivolta a Facebook chiedendo di aiutare l’azienda e altri editori a disabilitare la possibilità di lasciare commenti agli articoli pubblicati sulla loro pagina ufficiale sul social, ma da Menlo Park è arrivato il rifiuto. “Siamo delusi che Facebook, ancora una volta, non riesca ad assicurare che la sua piattaforma sia un luogo capace di ospitare il giornalismo credibile e un dibattito costruttivo tra gli utenti sui fatti di attualità”, ha affermato la Cnn in una nota. 

Facebook ha replicato che le recenti decisioni della Corte suprema dimostrano che la legge australiana sulla diffamazione necessita di una riforma e sta aspettando con ansia che venga introdotta “maggiore chiarezza e certezza in quest’area. Nel frattempo “anche se non spetta a noi fornire consigli legali alla Cnn, abbiamo dato loro le informazioni aggiornate sugli strumenti che Facebook mette a disposizione degli editori per gestire i commenti”.

La guerra delle news

La sentenza della Corte suprema australiana sulla diffamazione su Facebook aumenta gli attriti dei media tradizionali con il social network, che una legge del 2020 costringe a pagare i link ai contenuti giornalistici.  

Canberra ha chiesto l’anno scorso all’Antitrust di stilare un codice di condotta obbligatorio per le piattaforme social e i big del tech in modo da regolare rapporti di questo settore con l’editoria e garantire che le grandi piattaforme come Facebook e Google paghino per i contenuti che pubblicano. A inizio anno, il governo ha approvato una legge che ha reso obbligatorio per i colossi tecnologici americani pagare gli editori per i contenuti proprietari pubblicati sulle piattaforme online.

A luglio l’associazione della stampa regionale australiana Cpa (Country Press Australia), che rappresenta 81 editori per un totale di circa 160 testate cartacee locali, ha ricevuto dall’Antitrust la prima bozza del documento con le linee guida per la trattativa con Google e Facebook. Si lavora a un accordo sulla commissione che le piattaforme digitali dovranno pagare per pubblicare i loro contenuti.

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