IL PUNTO

Agenda digitale al banco di prova parlamentare

Il Senato ha iniziato a lavorare sulla conversione del decreto Crescita 2.0. Ma per esperti e parlamentari sono ancora tanti i nodi al pettine. A cominciare dai limiti troppo stretti agli incentivi fino ad arrivare alla questione dell’e-commerce, grande assente del provvedimento

Pubblicato il 15 Nov 2012

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Da questa settimana Il parlamento ha cominciato a lavorare sugli emendamenti per migliorare l’Agenda Digitale descritta dal decreto Crescita. Si rivela così in controluce la mappa delle cose che non vanno, da correggere. I limiti dell’Agenda governativa.

Nei giorni scorsi il Corriere delle Comunicazioni e Agendadigitale.eu ha ospitato interventi che illuminano le varie zone d’ombra, sulle quali i senatori hanno presentato già emendamenti, in accordo con i diretti interessati (associazioni, aziende) ed esperti di settore.

Facciamo il punto.

1)Vengono denunciati limiti troppo stretti per gli incentivi. Per esempio, il credito d’imposta sulle infrastrutture ha vincoli troppo rigidi (il decreto parla di opere da mezzo miliardo da realizzare entro il 2015). Anche il presidente della Cassa depositi e prestiti Franco Bassanini è contrario a tanta rigidità «E’ necessario perfezionare e completare la disciplina dei project bond, estendendone l’applicazione alle società impegnate nella realizzazione di reti Ngn e cancellare il limite temporale posto all’applicazione della disciplina fiscale». «Eliminare i limiti posti all’applicazione del nuovo strumento del credito di imposta, che riguardano opere superiori a 500 milioni e con progetti approvati entro il 2015, e trasformare la defiscalizzazione in uno strumento ordinario, poiché non riduce, ma aumenta le entrate, consentendo di realizzare opere che diversamente non si farebbero», ha detto.

«I vincoli per gli incentivi startup sono troppo stringenti, rischiano di escluderne la maggior parte», aggiunge Luigi Vimercati (Pd), in accordo con l’esperto di startup Gianluca Dettori.

2)C’è il rischio calende greche. Molti parlamentari vogliono tempi perentori e niente più rinvii per la PA digitale. «L’eGov è una parte troppo frammentata nel decreto. Soprattutto sono pericolosi i tanti rinvii, presenti nel decreto, a decreti attuativi che dovranno essere fatti molteplici ministeri», dice Paolo Gentiloni (PD). C’è un problema di esecutività del decreto, anche alla luce dell’esperienza passata e degli attuali ritardi di applicazione del codice dell’amministrazione digitale. Come segnalato anche dall’ex ministro Renato Brunetta.

3) Il decreto prevede tempi troppo stretti per i libri digitali nelle Scuole. Gli editori e gli insegnanti sono impreparati. Senatori ed esperti concordano nel chiedere maggiore gradualità.

4)Ha fatto infuriare molti la scomparsa degli incentivi all’eCommerce. Gentiloni: “Assurdo che il governo abbia tolto ogni riferimento all’eCommerce, che è il vero punto debole del nostro sistema digitale e che permette di combattere l’evasione fiscale”. Su questo c’è accordo anche nel Pdl (Palmieri, Gasparri). Del resto, l’eCommerce era un caposaldo della proposta di legge bipartisan (Pd, Pdl, Udc) per l’Agenda digitale (proposta che poi ha ceduto il passo al decreto). Ma sarà una sfida enorme convincere il governo a mettere mani al portafogli (in termini di ridotti introiti fiscali) in vista di un ritorno economico certo (o almeno molto probabile) nel medio periodo, come stima Netcomm (il Consorzio del commercio elettronico). Altrettanto difficile l’emendamento bipartisan per adeguare l’Iva e-book, abbassandola, a quella dei libri cartacei. Se l’Italia dovesse andare in questa direzione, rischia di andare incontro al veto di Bruxelles, come capitato alla Francia.

E fini qui abbiamo visto solo le modifiche operative sul testo del decreto. Molto altro dovrà essere affrontato, da questo e dal successivo governo, per l’Agenda digitale in generale. Per esempio, condurre in porto la Fattura elettronica, l’archiviazione digitale rendere realtà il Codice dell’amministrazione digitale. La neonata Agenzia per l’Italia Digitale va verso un lavoro lungo e complesso: per assicurare l’interoperabilità dei sistemi IT delle Pa, per esempio. Insomma: adesso, con il decreto e gli emendamenti, ci stiamo preoccupando che le norme siano buone. Farle funzionare nella realtà sarà un altro paio di maniche.

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