L'ANALISI

Burocrazia e digitale, un binomio che può funzionare

Uffici e funzionari pubblici possono svolgere un importante ruolo nel processo di trasformazione della PA. Ma occorre mettere insieme la cultura dell’amministrazione statale con le competenze tecnologiche

Pubblicato il 21 Mar 2017

Paolino Madotto, Cisa, Cgiet e gold member Isaca

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L’eterno conflitto tra burocrazia e digitalizzazione è tempo che sia superato. Da una parte “La burocrazia” dipinta come nell’800, con i dirigenti e gli impiegati pubblici presi a pretesto di anacronistiche procedure e dall’altra con il mondo degli “innovatori” e “digitali” occupati a trasformare la PA con la stessa mentalità di una startup che vende pizza con una app.

Alcune interviste di Piacentini fanno sperare bene ed è necessario approcciare in modo innovativo la digitalizzazione della PA sapendo cogliere adeguatamente le opportunità offerte dalla tecnologia e contestualizzandole nei processi e nella missione istituzionale delle funzioni statali.

La PA italiana d’altra parte è tra le poche organizzazioni che sono rimaste alla “catena di montaggio”, ogni ufficio è una isola con responsabilità frammentate che cura un singolo aspetto di un procedimento sulla base degli atti formali che possiede, non ha alcuna responsabilità che l’intero processo possa essere fatto bene o male. Alcune procedure sembrano scritte più per difendere il funzionario che il cittadino. Questo è un dato di fatto che, malgrado le riforme, nessuno ha mai modificato.

La burocrazia, invece, ha una sua importante funzione positiva. Lo Stato attraverso la “spersonalizzazione” dovrebbe garantire al cittadino il rispetto dei suoi diritti indipendentemente da chi è e, soprattutto, chi conosce. In questo meccanismo tuttavia basta una piccola discrezionalità come decidere quali fascicoli fare prima o dopo e ci si mette a rischio corruzione o semplicemente si fa torto a qualcuno. In tutto il mondo esistono delle procedure anche dove tutto funziona bene.

Chi viene dal mondo dell’impresa o delle tecnologie lavora ad un altro ritmo, si concentra sui suoi clienti che sono sempre un segmento della società, può decidere di tagliare i troppo poveri o quelli che non hanno un titolo di studio, i vecchi o i giovani. Non deve garantire diritti ma offrire servizi, venderli a quelli che ritiene più profittevoli. E’ portato a semplificare, giustamente, per raggiungere l’obiettivo e il risultato. La PA non può semplificare in modo discrezionale, deve tener conto degli interessi generali ed essere vincolata alle leggi. Deve tener conto del digital divide culturale, in quello tecnologico, curarsi di ogni singolo cittadino allo stesso modo.

Difficilmente abbiamo visto dialogare i “digitalizzatori” e i “burocrati”, quando ciò è avvenuto abbiamo visto le iniziative più riuscite. Piacentini dice giustamente che bisogna portare dentro la PA le competenze tecniche ma insieme è necessario aprire il dialogo tra i due mondi, acquisire competenze specialistiche in grado di ripensare processi, tecnologie e persone. Competenze che difficilmente possono risiedere dentro un ministero ma di cui periodicamente è necessario farne uso proprio in virtù della veloce evoluzione tecnologica.

Potenziare AgID significa inserire competenze professionali nella governance, nella gestione di progetti e programmi complessi, nel disegno di architetture tecnologiche, persone con esperienza in grado di conoscere le tecnologie e di lavorare con funzionari della PA.

E’ urgente assumere più informatici ma è ancora più urgente mettere insieme la cultura dell’amministrazione statale con le competenze tecnologiche, concentrarsi sulla digitalizzazione dei processi, costituire gruppi misti di lavoro con l’ausilio di competenze esterne. E’ una condizione imprescindibile per trasformare la PA ed è urgente farlo.

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