Icardi: “Skill 2.0 asset d’oro per il Paese”

L’Ad di Sas Italy: “Gli esperti digitali sono motori di crescita. Serve una sfida di sistema per imprese, Pubblica ammininistrazione e scuola”

Pubblicato il 30 Gen 2017

Andrea Frollà

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«Aiutare la formazione delle competenze che il mercato cerca non è solamente utile, ma costituisce un dovere morale verso il Paese». La necessità di un approccio di sistema al tema delle digital skill è il vero mantra di Marco Icardi, amministratore delegato di Sas Italy. Questo messaggio ripetuto da chi guida una compagnia leader nei software per gli analytics, segmento in cui trovare specialisti è ardua impresa, suona come un vero e proprio appello a imprese, PA e scuola a fare squadra.Una vision sistemica alla cui creazione Sas sta cercando di contribuire con alcune iniziative dedicate alla formazione digitale, tra cui rientra il progetto Digital Learning fresco di lancio. “Cerchiamo di fare la nostra parte, portando riqualificazione e formazione nel cuore di scuole e aziende”, spiega Icardi a CorCom. Videolezioni, dimostrazioni e case history aziendali per mettere a fattor comune l’esperienza sul campo e le best practice.

Partiamo dal progetto digital learning. Come si configura questa nuova sfida formativa?

Questo progetto che nasce in Italia, dove noi già da tempo organizziamo corsi in aula e online di formazione e aggiornamento. La piattaforma Digital learning ha l’ambizione di avvicinare il pubblico di riferimento ai case aziendali e di raccontar loro il mondo degli analytics, dei big data e di determinate piattaforme. Così abbiamo costruito dei percorsi formativi su ambiti che fanno parte del nostro business e su cui crediamo sia importante diffondere una cultura approfondita. Si tratta di corsi pervasivi pensati per imprese private, PA e scuole, ossia di tre pilastri del sistema Paese che hanno e avranno sempre più bisogno di analytics applicati. Li abbiamo anche registrati e messi online: oggi sono all’interno della nostra piattaforma, ma vogliamo portarli direttamente all’interno delle aziende.

Oggi mancano esperti dei dati. Da cosa dipende questa lacuna professionale e come si può colmare?

Servono figure professionali che sappiano trattare i dati e applicarli al meglio nei contesti aziendali. Di questa carenza ci accorgiamo sia direttamente sia quando ci confrontiamo con clienti e partner. Gli specialisti sono pochi, una vera rarità per le aziende che non a caso si fanno una gara spietata per averli. Aiutare la formazione delle competenze che il mercato cerca non è solamente utile, ma costituisce un dovere morale verso il Paese. Con il progetto Digital learning noi stiamo facendo la nostra parte, cercando di portare riqualificazione e formazione nel cuore di scuole e aziende.

Che tipo di ruolo spetta a imprese e PA in questo contesto?

Il panorama pubblico-privato italiano è molto variegato. La PA gioca, soprattutto a livello locale, un ruolo essenziale nel funzionamento efficiente del territorio. Ci sono poi le università, che presentano dei centri di eccellenza che formano menti brillanti e che all’estero ci invidiano. Così come esiste un tessuto imprenditoriale che sa bene cosa significa innovare. Mettere a sistema tutte queste eccellenze è una sfida che siamo tutto obbligati a giocare. L’Italia rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di competenze e innovazioni che trasformeranno tutti i mercati, dalla finanza alle comunicazione passando per i media: il nostro compito è trovare le forme di questa progettualità nuova.

Quali sono i settori più pronti di altri?

La nostra esperienza cross sector ci insegna che è possibile accumulare esperienze molto diverse fra loro, da cui estrapolare valore per diversi ambiti. In questo contesto di scambio continuo credo che l’industria 4.0, su cui Governo e associazioni imprenditoriali stanno spingendo con programmi ambiziosi, possa essere un driver chiave. E i dati possono essere per molti settori, dalle utility all’energia passando per telco e manifattura, degli abilitatori strategici per ridisegnare la filiera in ottica digitale e aprire nuove frontiere di globalizzazione. C’è poi l’introduzione di sensoristica e sistemi di gestioni dei dati dentro le macchine generano volumi di informazioni, il cui utilizzo per l’efficienza dei processi e il miglior servizio ai clienti è la vera sfida del futuro.

Serve però anche il giusto approccio. I dati sono ancora considerati come materia per pochi eletti o sta cambiando la sensibilità?

Fortunatamente l’attenzione e la curiosità su questi temi sono aumentate e ciò sta favorendo una spinta agli investimenti. Ho trovato riscontri effettivi nella messa a terra di progetti veri. Rispetto al passato si è passati da dire abbiamo un’idea a creiamo un cantiere concreto. La sensibilità su capacità analitiche, modellazione dei dati e governance delle info prodotte sono i veri temi sui cui costruire una nuova direttrice di innovazione. Questo è uno dei nostri obiettivi per il 2017. Stiamo riflettendo su modelli as a service delle nostre soluzioni, a reti di partner che ci supportino su alcuni verticalità, a università che siano dei nostri alleati per collegare la scuola al lavoro. Sono fattori che devono viaggiare insieme per trasformare il Paese.

Che ruolo avrà l’intelligenza artificiale nello sviluppo dei mercato dei dati?

Di machine learning e intelligenza artificiale si discute da moltissimo tempo. Oggi abbiamo fatto un’importante evoluzione di piattaforma spostandoci sul cloud e verso il machine learning, che significa creare un ambiente di sviluppo che si evolve di pari passo con l’ambiente. L’applicazione in contesti reali dell’IoT combinata con modelli di machine learning è uno sviluppo futuro che è oggi ancora un’area di frontiera rispetto alla quale le competenze determineranno il successo.

Non tutto deve essere però ricondotto alle macchine e agli automatismi, perché il fattore umano continua a valere tantissimo. Ad esempio si parla molto di cybersecurity e di attacchi alla rete che solo con AI spinta e grande conoscenza delle reti fra persone possono essere elevate.

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