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Scoppia il caso e-fattura: polemica sull’uso dei “dati integrati”

Secondo il Garante Privacy la memorizzazione di questo tipo di informazioni per le analisi del rischio di evasione fiscale “contrasta con il principio di proporzionalità su cui si basano l’ordinamento interno ed europeo”. Ma per sindacati ed esperti così è più facile stanare gli evasori

Pubblicato il 14 Lug 2020

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Scoppia il caso e-fattura. Dopo il parere negativo del Garante Privacy sullo schema di provvedimento attuativo della nuova procedura di utilizzo, per otto anni, dei dati delle fatture elettroniche ai fini delle analisi del rischio di evasione disciplinata dall’articolo 14 del dl 124 del 2019, non sono state poche le critiche sollevate dalla decisione, soprattutto da parte di esperti e sindacati. Che hanno costretto l’Autorirà ad un’ulteriore precisazione.

“Il parere del Garante – spiega una nota –  non riguarda l’istituto della fattura elettronica, su cui l’Autorità si è, a suo tempo, e più di una volta espressa favorevolmente, ma le innovazioni con le quali il legislatore – e, conseguentemente, l’Agenzia delle entrate – ha esteso l’utilizzo, a fini di controllo, di ulteriori dati ricavati dalle fatture elettroniche, non fiscalmente rilevanti”.

Con lo schema di provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate si è infatti disposto, tra l’altro, l’utilizzo, a fini fiscali, dei “dati fattura integrati”, comprensivi di dati di dettaglio inerenti anche l’oggetto della prestazione del bene o del servizio. “Molti di questi dati, quali ad esempio quelli contenuti negli allegati delle fatture, non rilevano a fini fiscali e possono invece rivelare dati di natura sanitaria o la sottoposizione dell’interessato a procedimenti penali, come nel caso di fatture per prestazioni in ambito forense o ancora specifiche informazioni su merci o servizi acquistati – prosegue il Garante – La memorizzazione, a prescindere dall’eventuale utilizzo, delle fatture nella loro integralità comporta dunque l’acquisizione massiva di una mole rilevantissima dei dati contenuti nei circa 2 miliardi di fatture emesse annualmente, inerenti tra l’altro i rapporti fra cedente, cessionario ed eventuali terzi, fidelizzazioni, abitudini e tipologie di consumo, regolarità dei pagamenti, appartenenza dell’utente a particolari categorie”.

Tale estensione del novero dei dati trattati dall’amministrazione fiscale contrasta con il principio di proporzionalità su ci si basano l’ordinamento interno ed europeo – si evidenzia – ingolfa le banche dati dell’Agenzia delle Entrate rendendole più vulnerabili, perché estese e interconnesse in misura tale da divenire assai più difficilmente presidiabili, e configura un sistema di controllo irragionevolmente pervasivo della vita privata di tutti i contribuenti, senza peraltro migliorare il doveroso contrasto dell’evasione fiscale”.

Ed è proprio questo l’elemento di maggiore criticità delle recenti innovazioni normative, su cui il Garante ha chiesto un supplemento di riflessione sin dall’esame parlamentare del decreto fiscale: “non è ammissibile, perché sproporzionata, l’estensione a dati rilevantissimi per la vita privata dei contribuenti, ma fiscalmente irrilevanti e, come tali, incapaci di apportare alcun minimo miglioramento all’azione di contrasto dell’evasione. Essa va resa più efficiente, non più orwelliana. per garantire quell’equità fiscale promessa dalla Costituzione”, conclude la nota.

La nota della Cgil

“Il parere del Garante della privacy sull’incrocio dei dati della fatturazione elettronica  – si legge in una nota della Cgil nazionale – è incomprensibile in un momento storico dove la priorità dovrebbe essere la lotta contro l’evasione fiscale, vera causa del debito pubblico e madre di ogni ingiustizia fiscale del nostro Paese”.

“È doveroso – prosegue – tutelare i contribuenti onesti e pseudonimizzare i dati nella fase di analisi; altro è invece impedire di svolgere analisi predittive massive sui big data per individuare profili a rischio evasione. Per la Confederazione “è davvero inaccettabile che si impedisca all’operatore pubblico di poter utilizzare i dati a sua disposizione per combattere una piaga come evasione.

Il punto di vista dell’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco

“Mentre i giganti del web agiscono indisturbati sui dati personali di tutti i cittadini arriva una delibera del Garante della privacy contro l’introduzione della fattura elettronica che si frappone all’applicazione di una legge dello Stato, taglia le gambe all’azione di contrasto all’evasione fiscale e crea un grave precedente di conflitto con il Parlamento che richiede un immediato intervento dei ministeri competenti”. Ad affermarlo è il presidente del centro studi Nens e sex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. “Il parere negativo espresso dal Garante della privacy il 9 luglio scorso sullo schema di provvedimento sull’utilizzazione dei dati delle fatture elettroniche predisposto dall’Agenzia delle Entrate – sottolinea Visco – è difficile da comprendere e comporta rilevanti conseguenze: da un lato frena gli effetti positivi che il processo stava iniziando a produrre in termini di semplificazione degli adempimenti e di potenziamento dell’azione di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria; dall’altro costituisce un grave precedente perché, di fatto, rende inattuabile una norma approvata dal Parlamento”. Per l’ex ministro del Tesoro “in un Paese come il nostro dove i problemi dell’evasione e della complessità burocratica del fisco sono obiettivi primari da perseguire, è inaccettabile che non si possa conciliare, grazie alla tecnologia, l’utilizzo completo e immediato del patrimonio informativo acquisito e la tutela della riservatezza dei dati; mentre i giganti del web come Google, Amazon e Facebook gestiscono miliardi di dati personali senza alcun serio controllo, il Garante sembra concentrare le sue attenzioni sull’amministrazione fiscale”. Nel contesto di una indispensabile riforma della Pubblica amministrazione, conclude il presidente del Nens, “è sempre più evidente l’esigenza di riconsiderare il potere interdittivo degli organismi di controllo per affermare chiaramente la corresponsabilità degli stessi nell’eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati all’amministrazione a causa di preclusioni e ritardi”.

Cosa dice il parere del Garante privacy

Secondo il Garante la memorizzazione e l’utilizzazione, senza distinzione alcuna, dell’insieme dei dati personali contenuti nei file delle fatture elettroniche anche laddove si assicurino elevati livelli di sicurezza e accessi selettivi, risulta sproporzionata in uno stato democratico, per quantità e qualità delle informazioni oggetto di trattamento, rispetto al perseguimento del legittimo obiettivo di interesse pubblico di contrasto all’evasione fiscale perseguito. Tutto ciò, prosegue il parere, pur tenendo conto che, allo stato, le spese sanitarie trasmesse attraverso il sistema “Tessera sanitaria” sono escluse da tale previsione. Ogni anno sono circa 2 miliardi le fatture elettroniche che transitano nel sistema di interscambio dell’Agenzia delle Entrate. In esse sono contenuti moltissimi dati, spesso anche molto dettagliati, che nulla hanno a che vedere con le esigenze del fisco ma rispondono a logiche commerciali, assicurative o a prassi commerciali. Da tali descrizioni si possono evincere, fra gli altri, il tipo di rapporto fra cedente ed utilizzatore, gli sconti applicati, la fidelizzazione verso alcuni fornitori, le abitudini di consumo.

Tutti questi elementi – documenti allegati alla fattura elettronica compresi – sulla base dello schema di provvedimento dell’Agenzia delle entrate verrebbero memorizzati ed archiviati per essere trattati, senza distinzione alcuna tra tipologie di dati e categorie di interessati, per un lungo periodo di tempo (otto anni) da parte sia della stessa Agenzia che della Guardia di finanza. L’insieme dei dati che verrebbero memorizzati e trattati finirebbe per ricomprendere al suo interno anche informazioni appartenenti a categorie particolari, come per esempio, quelle relative a eventuali procedimenti penali a danno dei relativi interessati che verrebbero estrapolate dall’esame dei contenuti delle fatture elettroniche relative alle prestazioni rese nell’ambito dell’attività forense.

Nel provvedimento il Garante ricorda come già a suo tempo avesse invitato il legislatore a selezionare opportunamente le tipologie di informazioni che si sarebbero dovute trattare sulla base della disposizione contenuta nel citato articolo 14 del collegato fiscale alla legge di Bilancio 2020.

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