IL REPORT

Agrifoodtech: l’Italia in pole per numeri ma bocciata all’esame della sostenibilità

Il nostro Paese settimo nella classifica elaborata dall’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Polimi. Su 63 startup agrifood solo il 25% è votato alla salvaguardia ambientale. Perego: “Il sistema agroalimentare vive grande fermento innovativo”

Pubblicato il 04 Giu 2019

Silvia Preti

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Ridurre lo spreco di cibo, utilizzando nuove tecnologie digitali e tutte le forme di collaborazione utili a prevenire, gestire e valorizzare le eccedenze alimentari, è ormai nell’agenda delle emergenze globali ai primissimi posti.  E secondo l’Osservatorio Food Sustainability della School of Management del Politecnico di Milano le notizie in merito vedono un settore in deciso fermento.

Sono infatti ben 835 le startup internazionali dell’agroalimentare – nate tra dicembre 2013 e dicembre 2018 -che perseguono obiettivi di sostenibilità sociale, ambientale ed economico attraverso soluzioni per la lotta alla fame, la transizione a sistemi di produzione e consumo più responsabile l’utilizzo efficiente dell’acqua, la lotta allo spreco di cibo e turismo responsabile. In pratica oltre il doppio di quelle rilevate lo scorso anno (399) e circa il 20% del totale di 4.242 dell’agrifood.

I Paesi con la più alta densità di startup agrifood sostenibili sono Israele (49, di cui il 71% sostenibili), Svizzera (43, di cui il 40% sostenibili) e Indonesia (24, di cui il 38% sostenibili). Solo il 39% delle startup sostenibili internazionali è stato finanziato, per un totale di 2 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti, ma gli investimenti medi per startup sono in crescita dai 2,4 milioni di dollari di un anno fa ai 6,1 milioni attuali. L’Italia, con 63 startup agrifood e 16 sostenibili (il 25%), che offrono soprattutto soluzioni di agricoltura di precisione e piattaforme per gestire le eccedenze, ridurre gli sprechi e promuovere i prodotti locali, presenta un mercato ancora fermo, con appena 1,8 milioni di dollari di finanziamenti complessivi e in media 400mila dollari per startup.

A livello globale il dato è senz’altro da considerare positivo e il numero elevato di start up ne è una chiara dimostrazione. “Nel 2018 – sottolinea Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Responsabile scientifico dell’Osservatorio – il sistema agroalimentare ha vissuto un grande fermento innovativo come risposta alla necessità di ridurre lo spreco di cibo, una delle sfide più sentite a cui sia le startup sia attori consolidati stanno cercando di trovare soluzioni”.

I principali obiettivi di sviluppo sostenibile perseguiti dalle 835 startup sono incrementare i redditi dei produttori su piccola scala, fornendo accesso alle risorse produttive e uno sbocco sul mercato (253), aumentare la produttività e la resilienza dei raccolti ai cambiamenti climatici (163), ridurre le eccedenze e gli sprechi alimentari lungo la filiera (86), ma anche imprese che investono su soluzioni chimiche green per migliorare le rese preservando l’ambiente (61), che mirano a ottimizzare l’efficienza delle risorse impiegate nella produzione (60), che cercano di garantire l’accesso al cibo (48), di perfezionare l’uso delle risorse idriche e favorirne l’accesso (42) e startup che promuovono il turismo sostenibile e la produzione locale (23).

Sono poi raddoppiate le startup che propongono modelli di business circolari, cioè business pensati per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi riducendo al massimo gli sprechi, mentre si diffondono nuove modalità di collaborazione a tutti i livelli della filiera e l’innovazione coinvolge processi della supply chain prima d’ora soltanto sfiorati, come ad esempio il packaging”. Anche perché una filiera più sostenibile passa anche dalla sostenibilità del Food Packaging, in pratica con un imballaggio igienicamente e ambientalmente sostenibile.

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