L'EDITORIALE

Competenze digitali? O incompetenze? Gli “angels” lasciamoli in paradiso

Molte le specializzazioni di nuova generazione su cui aleggiano speranze che spesso nascondono inganni al limite della truffa. Fioccano gli esperti che si professano tali senza generare risultati concreti in termini di servizi e ancor più di business. Il digitale non è un gioco. Serve una riflessione seria sul tema per evitare di “dopare” il mercato e innescare una pericolosa “bolla”

Pubblicato il 14 Mag 2018

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La questione lavoro è per l’Italia, ora più che mai, lo snodo vero per darsi un futuro. Un futuro alle nuove ma anche alle generazioni esistenti, e non solo a quelle più giovani. Non siamo ancora in grado di capire quanto la rivoluzione robotica 4.0 condita di intelligenza artificiale impatterà sul mondo del lavoro in termini di posti persi e guadagnati, ma concentrarsi sui numeri è un esercizio che conta poco in questo momento storico.

Il tema delle competenze digitali e dunque della formazione è uno dei più battuti da qualche tempo a questa parte: se ne parla, se ne discute, è oggetto di convegni e dibattiti, di politiche governative e industriali. E checché se ne dica la macchina della formazione, quella privata ma anche quella pubblica a livello universitario, si è messa ampiamente in moto. Decine i corsi e i master che puntano alla creazione di nuovi mestieri e di specializzazioni su cui si sta concentrando l’offerta di mercato. Il gap lentamente si sanerà, è solo questione di tempo.

C’è però una questione che sta sfuggendo all’attenzione. È quella delle incompetenze digitali. E non è da sottovalutare. Sul carro della formazione e più in generale su quello del digitale stanno salendo in parecchi, forse in troppi. Fioccano gli specialist, gli strategist, i conselour, i coach, gli analyst, gli angels – termini che hanno un significato e un valore preciso e importante ma che spesso sono abusati e utilizzati imnpropriamente. Fioccano le definizioni per indicare competenze mai sentite prima, molte inventate di sana pianta e “vendute” come l’ultima frontiera.

A riprova del fenomeno la miriade di pubblicazioni, guide, manuali e vademecum – figli di consolidate tecniche di marketing basate sulla forza “emozionale” del messaggio – che in poche pagine promettono di rivoluzionare la vita ai creduloni e a coloro, sempre più numerosi, che non hanno la più pallida idea di come ci si costruisca una professionalità e in che cosa consista quel bagaglio di competenze in grado di fare la differenza fra un conoscitore della materia e un cialtrone digitale.

Al netto delle figure tecniche – sviluppatori, softwaristi e conoscitori della dimensione “informatica” –sui quali la scrematura si fa inevitabilemente sul campo, è sulle figure “strategiche” che è necessario un dibattito serio. Il mondo della comunicazione e del marketing, in particolare, si sta popolando di tutta una serie di mesterianti dalle “ambigue” e discutibili conoscenze che promettono ritorni in termini di immagine e popolarità ma che spesso e volentieri non sono in grado di mantenere le promesse. Il fenomeno delle fake news è strettamente connesso a quanto sta accadendo e fa il paio con la caccia ai “follower” sui social network che spesso si traduce nell’acquisto di “pacchetti” di seguaci con il solo scopo di “dopare” il mercato e alterare la concorrenza. La logica della quantità, nel prevalere su quella della qualità, ha il solo scopo di ingannare e di creare falsi miti nei quali stanno inciampando in molti, anche chi non ci si aspetterebbe.

Insomma, è arrivato il momento di una riflessione seria sul tema delle competenze digitali, altrimenti si rischia una “bolla” difficile da gestire. L’incompetenza digitale va stanata e messa al bando. E va fatto ora. È necessaria una scrematura, ripartendo dagli obiettivi strategici e affidandosi a figure che possano davvero aiutare a concretizzarli in termini reali, risultati che si misurano sul fronte dell’operatività, dell’efficienza, del servizio finale e non ultimo delle revenues.

Il digitale non è un gioco e soprattutto non è una “competenza” tout court che si può sganciare dalle capacità manageriali, organizzative, operative. Il digitale è uno “strumento” che bisogna saper maneggiare, non tecnicamente ma strategicamente. I “fuffologi”, da che tempo è tempo, non hanno mai contribuito allo sviluppo dell’economia. Gli “angels” improvvisati e senza curriculum lasciamoli in paradiso e i “guru” alle religioni.

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