L'INTERVISTA

Digital economy, Yuri van Geest: “Umanizziamo la tecnologia”

Il Ceo e fondatore della Singularity University olandese, esperto di innovazione: “Nel vecchio continente si parla solo di privacy e security invece di abbracciare le tecnologie esponenziali”. “Il valore aggiunto dell’uomo sono curiosità e creatività: è su questo che si deve investire”

Pubblicato il 31 Ott 2017

Antonello Salerno

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“Guardando al futuro, sarà necessario affrontare il tema del lavoro e delle tecnologie da un punto di vista il più possibile umano: dobbiamo educare i nostri bambini e i nostri ragazzi a seguire nella vita le proprie passioni, raggiungendo i loro veri obiettivi. Oggi l’80% delle persone fa lavori verso i quali non nutre passione, che non piacciono o non piacciono loro pienamente: lo trovo ridicolo. La risposta è nell’investire sulle arti liberali: se ci si dedica a questo, se ad esempio si vedono molti film, si sarà in grado di porre domande più “intelligenti” e di sviluppare capacità a valore aggiunto, perché l’arte apre le menti, abitua a vedere la realtà da nuove prospettive. E’ esattamente quello che le tecnologie sono meno in grado di fare, almeno per oggi. Il nostro ruolo come esseri umani è quello di fare le domande giuste, mentre le tecnologie produrranno le risposte: è la nuova era verso la quale ci stiamo muovendo. Così oggi in Cina si sta investendo massicciamente sulla creatività, e non sui classici sistemi educativi che consistono nell’ascoltare e riprodurre. L’Europa ha ancora molto da fare in questo campo: siamo troppo conservativi ed esitanti. Si parla solo di privacy e security, invece dobbiamo essere più ottimisti, più disposti ad abbracciare il futuro. Siamo ancora bloccati nel passato, mentre in Cina, in Silicon Valley, in Israele, in India si progetta il futuro”. Lo dice in un’intervista a CorCom Yuri van Geest, durante i lavori di Huawei eco-connect Europe 2017, manifestazione che si è svolta il 26 e 27 ottobre al City cube di Berlino. Ceo e fondatore della Singularity University olandese e ambasciatore della Singularity University creata nella Silicon Valley da Nasa e Google, van Geest è un esperto di innovazione tecnologica, strategie di business e nuovi modelli organizzativi, oltre che coautore del best seller “Exponential Organizations”, tradotto in 16 lingue e volume con il più alto rating su Amazon tra i libri di business.

Van Geest, come si stanno organizzando le aziende per adattarsi alle “esponential technologies”?

Una exponential organization è un nuovo modello di organizzazione che ha iniziato a emergere negli ultimi 10 anni su scala globale. Si tratta di organizzazioni che sono almeno 10 volte più veloci, più efficienti rispetto a quelle “classiche”. Utilizzano due principali strumenti per innovare: le nuove exponential technologies, come ad esempio il quantum computing, o la blockchain, o l’intelligenza artificiale, o il 3D printing, o le nanotecnologie, o le biotecnologie, o una combinazione di nuove tecnologie. In secondo luogo utilizzano nuove tecniche di organizzazione, a livello strutturale e culturale, nelle loro strategie e nei loro processi. L’obiettivo è mettere le persone nella condizione di lavorare guidate dalla passione, in team auto-organizzati in totale autonomia, creando un più alto tasso di coinvolgimento. Lo scopo finale è quello di “umanizzare” le organizzazioni, utilizzando per questo tutte le tecnologie più avanzate che sono oggi a disposizione. Gli esempi ci sono, potremmo citare Netflix, Uber, Airbnb, sempre più anche Google.

Una strategia che parte dalle tecniche di recruitment?

Ci stiamo orientando quelle guidate dalle 4 P, con meta-competenze orientate al futuro: “passion”, quindi incontrare le vere motivazioni professionali delle persone che si assumono; “purpose”, cioè assicurarsi che gli scopi personali del lavoratore coincidano con quelli dell’azienda; “potential”, cioè verificare che i candidati abbiamo le caratteristiche di curiosità, creatività e resilienza necessarie, e siano portate alla collaborazione; e infine “permission of innovation”: dare a tutti la possibilità di innovare. Queste caratteristiche portano le persone a essere pienamente libere ma anche pienamente affidabili per l’azienda. Possono contribuire a progetti esistenti, o possono innovare creando dei progetti originali. Questo comporta un cambiamento profondo per le risorse umane, che dovranno impegnarsi ad assumere persone “future proof”.

Sembra una strategia semplice per una startup, ma come si applica a una azienda grande e strutturata?

Il mio compito in questo periodo è proprio questo: aiutare le grandi compagnie a trasformarsi in questa direzione. Introducendo piccoli team di persone specializzate in grado di apportare una spinta “disruptive” all’interno dell’azienda, a complemento di quello che già fanno. Nel caso delle banche, ad esempio, è fondamentale che sperimentino a fondo le potenzialità della blockchain: chi non lo farà potrebbe essere fortemente penalizzato dal mercato, fino a sparire. Certo, ci sono spinte conservative, ma non sono destinate ad avere successo. Ovviamente in generale ci vuole tempo per vedere i primi risultati di queste innovazioni, con le persone che da passive diventano attive, e diventano loro stesse imprenditori a vantaggio della loro azienda, con la nascita di idee nuove e migliori in termini di quantità e qualità. Per arrivare a questo è necessario in media un periodo di assestamento che va dai tre ai cinque anni.

Come si concretizza il gap tra l’Europa e le aree più avanzate in questo campo?

La Silicon valley ha iniziato a valutare questi percorsi da dieci anni, la Cina da 20. E oggi la Cina procede al doppio della velocità rispetto alla Silicon Valley, ed è cinque volte più veloce dell’Europa. Per vederlo e capirlo basta andarci: si sente un’altra energia, si collabora in modo molto più intenso, si pensa di meno e si agisce di più. Il principio è quello del learning by doing, imparare facendo, una regola vincente. Perché sulle tecnologie esponenziali si deve sperimentare, devono essere utilizzate come un gioco. Più si sperimenta e più si ottengono risultati migliori.

Qual è in questo campo il ruolo che possono svolgere le istituzioni?

Le dinamiche di innovazione mettono in discussione anche i principi fondamentali e tradizionali delle democrazie. Gli Stati e i partiti politici fino a oggi hanno basato il loro successo sulla scarsità di informazioni e di dati: oggi invece si possono analizzare i problemi e offrire soluzioni concrete a di fuori dei processi politici grazie all’utilizzo delle tecnologie esponenziali. Questo sarà uno dei temi chiave dei prossimi anni per gli Stati nazionali: assisteremo alla ricerca di un nuovo equilibrio di poteri tra istituzioni, cittadini e mondo del business: sarà una vera e propria riconfigurazione, in cui i Singoli Stati perderanno una parte del potere che oggi detengono a vantaggio degli altri due attori. Il fattore stabilizzante saranno proprio le tecnologie e il loro utilizzo. Che renderanno più accessibile e migliore l’educazione, l’healthcare, l’accesso alle risorse alimentari, nonostante gli sforzi che provengono oggi dalle lobby e dai regolatori. Sarà necessario rendere l’educazione e i servizi più abbordabili per tutti, anche per superare i problemi legati alla disoccupazione che si creerà in un primo periodo di transizione.

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