L'ANALISI

Giacomelli: “Fusione Tim-Open Fiber avvenga secondo modelli industriali”

Una sola infrastruttura, non verticalmente integrata e con effettiva parità di accesso, è la condizione migliore per il Paese. Ma la valutazione deve rispondere a parametri di mercato. Il punto di vista dell’ex sottosegretario alle Comunicazioni

Pubblicato il 19 Nov 2018

Antonello Giacomelli

commissario Agcom

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Leggo qualche commento critico sull’emendamento al decreto fiscale presentato dal relatore Fenu, M5S, per incentivare la fusione Open Fiber/rete Tim. Personalmente condivido il senso dell’emendamento. Negli anni in cui sono stato sottosegretario alle Comunicazioni non ho mai fatto mistero di considerare un errore la privatizzazione di Telecom e soprattutto quella della rete. Così come ho sempre considerato un problema per il Paese, e per la società stessa, l’arroccamento di Telecom a difesa dell’esistente che ha portato ad una impropria competizione infrastrutturale.

Pare di capire che, da qualche tempo, finalmente Telecom stia valutando la possibilità di una diversa strategia. Mi fermo qui, non voglio certo invadere il campo del nuovo Ad Luigi Gubitosi, di cui apprezzo non da ora qualità umane e professionali.

Sia ben chiaro: senza il Piano Banda Ultralarga, senza il ruolo giocato da Open Fiber, senza la spinta sul 5G, molto difficilmente oggi saremmo a confrontarci su questi scenari.

Ma non ho alcun dubbio che una infrastruttura unica, non verticalmente integrata, con effettiva parità di accesso, sia esattamente la condizione migliore per il Paese, per il mercato e, a mio parere, anche per i soggetti industriali coinvolti.

Realizzare una rete unica, in fibra, con gli standard più ambiziosi di connettività, abbatterebbe i costi di realizzazione, consentirebbe una effettiva neutralità di gestione, riporterebbe una infrastruttura strategica ad essere fattore abilitante per il mercato e non terreno di una impropria competizione.

A maggior ragione questo vale per la rete 5G, che presuppone una rete in fibra capillare, un numero molto maggiore di strutture e una più impegnativa tecnologia.

Questo passaggio consentirebbe anche a Telecom di ridefinire una propria strategia finalmente in termini industriali e non solo finanziari.

Naturalmente, detto che l’obiettivo è condivisibile, molto conta il percorso che si intende percorrere. Per me sono fondamentali tre condizioni: che la fusione avvenga secondo modelli industriali e con valutazioni realistiche delle reti, secondo parametri di mercato; che la rete unica, quale infrastruttura strategica, sia a controllo pubblico; che non si scarichino sui cittadini né direttamente né indirettamente i costi di errori strategici di passate gestioni private.

Non credo, ma si può ulteriormente verificare, che l’emendamento porti ad un possibile aumento dei costi per gli utenti finali. Per due motivi: il primo è che il metodo attuale di definizione dei prezzi regolati dei servizi di Tlc tiene già conto dei costi, in teoria secondo un modello ideale ma in pratica complessivi, del personale.

Il secondo motivo è che Open Fiber, in termini di personale, è sottodimensionata. La rete unica, e quindi una sola società di gestione, consentirebbe di assorbire, senza duplicazioni, costi di personale di Tim, peraltro, come detto, già sostanzialmente considerati negli attuali prezzi fissati dall’AgCom Per queste due ragioni non credo che la definizione dei prezzi col metodo Rab comporterebbe un aumento dei prezzi finali.

A chi avesse ancora dubbi voglio ricordare che il nuovo Codice europeo di comunicazioni elettroniche, che avrà tra pochi giorni il via definitivo, si pronuncia in modo molto netto a favore del modello wholesale only, o non verticalmente integrato. Risultato al quale è tutt’altro che estraneo il lavoro fatto negli anni scorsi dall’Italia.

 

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