IL DIBATTITO

Il grande nemico dell’Occidente è davvero Huawei?

Un editoriale della Bbc riapre le polemiche sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e aziende cinesi, e si chiede quali siano le prove reali di un rischio di spionaggio politico o industriale orchestrato da Pechino. L’ambasciatore cinese alle Ue: “Discriminazione avrà conseguenze gravi”

Pubblicato il 28 Gen 2019

Antonio Dini

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Dov’è la pistola fumante? Se lo chiede in un editoriale la Bbc relativamente al ruolo di Huawei nel mercato delle telecomunicazioni britannico, dove l’azienda cinese ha avuto non solo una posizione significativa da più di dieci anni ma anche una funzione di indirizzo e investimento nella ricerca accademica e persino nel mondo delle opere a fini sociali.

“Tutte le aziende e istituzioni britanniche sono state più che desiderose di fare affari con il gigante cinese. E allora, cosa hanno scoperto alcuni di loro al punto che improvvisamente hanno cambiato idea sul prendere soldi da quell’azienda? In una parola: niente. L‘unica cosa che è cambiata in realtà è il clima politico“.

L’editoriale firmato da Rory Cellan-Jones prosegue ricordando un incontro con alcuni dirigenti di compagnie telefoniche britanniche che chiedevano se ci fossero prove dei legami dell’azienda con il governo di Pechino, soprattutto con i militari (il fondatore Ren Zhengfei è stato in passato un ufficiale dell’Esercito popolare di liberazione). Prove non ce n’erano e invece, come osserva l’editorialista britannico, il cambiamento di oggi è dovuto “a una nuova posizione aggressiva nei confronti delle aziende cinesi, e in particolare di Huawei, da parte degli Stati Uniti. Questo si basa su preoccupazioni perfettamente legittime, ma di vecchia data, riguardanti le tattiche commerciali aggressive della Cina, il loro atteggiamento nei confronti della proprietà intellettuale delle imprese occidentali e il controllo del governo sul modo in cui le aziende cinesi operano”.

I legami con il governo a fini di spionaggio, però, cioè la pistola fumante, non sono mai stati scoperti. Almeno, non nel mondo plateale e diretto con cui vengono additate le aziende cinesi: il nemico che minaccia un vero e proprio attentato alla sicurezza nazionale. Il Presidente degli Usa, Donald Trump, con un ordine esecutivo ha praticamente messo in ginocchio la cinese Zte alcuni mesi fa, e oggi i dazi che colpiscono l’importazione di beni prodotti in Cina stanno avendo ripercussioni enormi sull’economia americana e non solo soprattutto nella parte in cui la Cina non è un concorrente ma un fornitore terzista.

Nonostante la Commissione europea stia manifestando con sempre meno timidezza una certa preoccupazione del “rischio spionaggio” made in China, in realtà prove di questo genere non ce ne sono. Anzi, secondo Phédra Clouner, vice direttore del Centro per la sicurezza informatica in Belgio (Ccb), in una dichiarazione resa a margine del Forum internazionale per la sicurezza informatica a Lille, non esiste un singolo elemento di prova di un rischio cibernetico, almeno per il Belgio, nell’utilizzo di apparecchiature del gigante dell’elettronica cinese Huawei. Il Ccb ha iniziato un’analisi nel quarto trimestre del 2018 e non ha ancora rivelato nulla di sospetto.

Al contrario, riporta la Reuters, la Francia è allarmata è sta intensificando i controlli delle infrastrutture di telecomunicazione utilizzate nelle reti di nuova generazione 5G, ha detto un funzionario del ministero delle finanze, a causa delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza.

L’aumento dei controlli non è destinato a colpire nessun particolare costruttore di attrezzature, ha detto il funzionario, dopo che le misure sono state annunciate venerdì in un nuovo emendamento alla bozza della legislazione commerciale sostenuta dal governo. Ma anche se non è stato mai pronunciato, il principale nome al centro del discorso è Huawei.

Dopo più di una decade di presenza di Huawei e delle altre aziende cinesi di telecomunicazioni in Occidente, il momento del cambio di velocità è critico. E non è solo responsabilità della nuova dottrina estera americana. Non c’è infatti solo questo: “Mentre si preparano – ha scritto Cellan-Jones – a lanciare le loro reti 5G, gli operatori mobili del Regno Unito stanno aspettando con ansia le indicazioni del governo. È probabile che tutti tengano Huawei fuori dalle loro reti principali, ma vorrebbero avere la possibilità di utilizzare le apparecchiature cinesi nelle loro stazioni base”. Invece, l’arrivo di reti 5G che saranno interconnesse nella infrastruttura industriale dei paesi europei come degli Stati Uniti, presenta nuovi rischi per la sicurezza e opportunità per gli attori geopolitici ostili.

A breve termine, gli Stati Uniti hanno un obiettivo chiave: chiudere la porta in faccia del redditizio mercato delle apparecchiature 5G a Huawei.

Particolare pressione viene esercitata dagli americani sui suoi partner di intelligence Five Eyes. “E sembra che stia funzionando – scrive l’editorialista della Bbc –, con l’Australia che sta già chiudendo all’azienda cinese e la Nuova Zelanda che apparentemente considera una mossa simile”. Anche in Europa, come testimoniano le dichiarazioni del ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, “Parigi è consapevole dei rischi dell’accesso da parte di Huawei alla rete mobile e il Governo prenderà tutti i provvedimenti necessari”.

Il rischio di spionaggio politico e di sabotaggio, oltre che di spionaggio industriale, è insomma al centro delle preoccupazioni di alcuni governi internazionali. Ma nessuno è stato finora in grado di dire se questo rischio esista veramente.

Intanto la questione Huawei “scalda” anche l’Europa. Il rappresentante di Pechino per l’Unione europea, Zhang Ming, ha condannato  la “discriminazione” a del colosso cinese Huawei e dei suoi progetti mobili 5G, avvertendo che potrebbe provocare “gravi conseguenze” sull’economia mondiale. In particolare, in un’intervista rilasciata al Financial Times, Zhang Ming ha avvertito che qualsiasi tentativo di limitare la partecipazione della tecnologia cinese nei futuri progetti europei per le reti mobili con banda larga 5G, avrebbe “gravi conseguenze” per la cooperazione economica e scientifica globale.

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