LA MISURA

Whatsapp verso la chiusura in Arabia Saudita

Dopo l’oscuramento di Viber, il governo di Riad valuta la chiusura della app di instant messaging. A rischio anche Skype

Pubblicato il 12 Giu 2013

Luciana Maci

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Sempre più a rischio in Arabia Saudita i servizi di messaggistica. Dopo Viber, app di instant messaging “chiusa” all’inizio del mese, il Paese medio-orientale ha già minacciato di bloccare Skype e sta valutando la messa al bando di Whatsapp, applicazione usata per inviare gratuitamente messaggi di testo attraverso le reti di telecomunicazione 3G o WiFi. Lo scrive oggi il quotidiano saudita “Al Eqtisadiya”, secondo cui la compagnia statunitense che gestisce l’applicazione potrebbe non accettare le regole imposte da Riad.

Le autorità che controllano la regione, infatti, sostengono di avere difficoltà a controllare il traffico sulle piattaforme di messaggeria istantanea fuori dagli accordi nazionali sulle telecomunicazioni e una legge del Paese impone che le agenzie governative possano accedere ai server che monitorano continuamente tutte le attività degli iscritti. Il governo dell’Arabia Saudita aveva dato, a marzo, una settimana di tempo a Viber, Skype e Whatsup per conformarsi alle regole interne, cioè fornire un server locale all’esecutivo per monitorare le attività degli utenti. Dopo due mesi gli organi di controllo sono passati ai fatti.

Il 5 giugno scorso la Commissione per le telecomunicazioni e l’Informazione tecnologica di Riad ha sospeso Viber, servizio che consente chiamate gratuite, l’invio di instant message e la condivisione di file in modo gratuito su Internet.

Già nel 2010 le stesse motivazioni avevano spinto gli organi governativi a contrastare l’allora Rim (ora BlackBerry) per l’app BB Messenger; in quel caso la Mora cedette alle richieste del governo.

In realtà, secondo gli analisti, queste operazioni non hanno solo motivazioni di ordine giuridico e amministrativo. Dietro ci sarebbe la volontà di arginare i primi segnali di agitazione sociale, sulla scia delle proteste cominciate nel 2011 e che trarrebbero ulteriore linfa dal dissenso esploso negli ultimi giorni in Turchia.

Altri esperti sottolineano l’importanza delle ragioni economiche. I tre principali operatori telefonici del Paese – Saudi Telecom, Etihad Etisalat e Zain Saudi – avrebbero chiesto alla Citc, l’ente regolatorio delle telecomunicazioni, di bloccare i servizi di messaggistica instantanea perché, con nove milioni di lavoratori stranieri che utilizzano applicazioni web-based per comunicare con gli amici, gli affari stanno andando sempre peggio.

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