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Scuola, generazione digitale: ecco le “classi capovolte”

I libri non bastano più, in aula si va con pc e tablet. Con le nuove sperimentazioni la lezione diventa interattiva

Pubblicato il 14 Mag 2016

Flavia Gamberale

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Si chiamano classi capovolte e sono la risposta italiana alle flipped classroom nate oltreoceano negli anni 90. Gli alunni non studiano più solo sui libri di testo, ma consultano i tutorial dei loro insegnanti sullo smartphone o sul pc di casa. In aula la lezione diventa interattiva: gli studenti si mettono alla prova, rielaborando con i professori quanto hanno appreso dai video.

Si lavora in squadra e su progetti, con pc, tablet e telefonini di ultima generazione, ribaltando completamente il tradizionale approccio all’insegnamento. “È un tipo di didattica attiva che favorisce la personalizzazione e la collaborazione tra studenti, migliorando le loro capacità di comprensione”, spiega Alfonso Molina, Direttore scientifico della Fondazione Mondo digitale, “Dare la possibilità ai ragazzi di seguire le spiegazioni dell’insegnate a casa, attraverso video da guardare sui display del telefonino o sullo schermo del pc, fa sì che ognuno possa approcciarsi alla didattica con i propri ritmi d’apprendimento. Questo permette alla scuola di essere veramente inclusiva e venire incontro alle singole esigenze formative degli allievi”. “La classe capovolta coinvolge maggiormente gli studenti ed è un metodo che ben si adatta al contesto attuale”, sostiene Aldo Torrebruno del Politecnico di Milano. Insomma, nell’era di Youtube e della comunicazione 4.0, anche negli istituti italiani si sta facendo strada la consapevolezza che le nuove tecnologie non possono più essere tagliate fuori dalla didattica.

Per ora le iniziative sono perlopiù sperimentali e lasciate alla buona volontà dei singoli insegnanti. Proprio nel 2014 in Italia è nata la prima associazione che si occupa di diffondere questo metodo d’insegnamento, Flipnet. “Organizziamo corsi di formazione riconosciuti da Miur per insegnanti di scuola primaria e secondaria e siamo in attesa di accreditarci presso il Ministero dell’Istruzione come ente formatore”, racconta la vicepresidente di Flipnet, Grazia Paladino, professoressa di matematica che da anni sperimenta attivamente il modello flipped classroom nell’istituto tecnico della provincia di Catania dove insegna. Non un caso isolato, tiene a precisare. “In questo momento abbiamo 800 insegnanti e 120 scuole che aderiscono al nostro progetto”, sottolinea. “Numeri in difetto che poi non tengono conto delle singole iniziative individuali dei docenti sui territori”.

Un approccio all’insegnamento che ha incontrato il favore di autorevoli linguisti come Tullio De Mauro. Lo scorso febbraio, a Roma, l’ex ministro ha aperto i lavori del secondo convegno nazionale sulla didattica capovolta. “Il libro ormai non basta più”, ha detto De Mauro, “Oggi anche le nuove tecnologie possono essere impiegate per migliorare l’apprendimento dello studente, come l’esperienza della classe capovolta insegna”.

Un metodo che però “cozza” con la scarsa propensione all’innovazione tecnologica della scuola italiana. I numeri purtroppo parlano chiaro: ad oggi, secondo i dati riportati nel documento del Governo sulla buona scuola, solo il 10% degli istituti primari e il 23% dei secondari è connesso ad Internet con rete veloce. Gli altri sono collegati a velocità medio-bassa e quasi in una scuola su due (46%) la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette quell’innovazione didattica che la Rete può abilitare.

Una situazione di arretratezza a cui sta cercando di porre soluzione l’ultimo programma operativo nazionale per la scuola, che beneficia di fondi europei per la realizzazione, l’adeguamento e l’ampliamento delle infrastrutture di rete negli istituti inferiori e superiori. All’ultimo bando si sono aggiudicate i finanziamenti oltre 6mila realtà scolastiche. Certo, migliorare l’accesso a Internet è condizione necessaria ma non sufficiente per modernizzare la scuola.

Come puntualizza Aldo Torrebruno del Politecnico di Milano, bisogna costruire una cultura dell’innovazione, che ad oggi manca. Attualmente il sistema scolastico italiano, ad esempio, non ha ancora fatto pace con gli smartphone. Dal 2007 è in vigore una circolare ministeriale, emanata per contrastare gli episodi di bullismo, che vieta l’utilizzo dei telefonini in classe. “Qualche scuola sta cominciando a derogare a questa disposizione con regolamenti propri che autorizzano l’uso dei device mobili a scopo didattico”, rivela Grazia Paladino.

La situazione appare comunque frammentata. In molti casi la spinta all’innovazione parte dal basso, dai territori. “Gli adolescenti di oggi hanno un testa diversa rispetto a quelli di ieri. Il metodo di lezione frontale non funziona più”, afferma Eraldo Affinati, scrittore e docente. “Quello della classe capovolta non è la panacea di tutti i mali ma sicuramente un metodo valido, a patto che lo si applichi tenendo in considerazione le specificità dei singoli contesti scolastici”.

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