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Parisi: “Incentivare il venture capital”

Entro la prima settimana di aprile la cabina di regia deciderà le modalità di recepimento degli obiettivi dell’Agenda digitale. A maggio via al censimento delle iniziative e a giugno sarà la volta del decreto che normerà gli interventi. Abbiamo chiesto a esperti e protagonisti del settore Ict quali azioni mettere in campo per spingere l’attuazione del programma. Ecco la ricetta del presidente di Confindustria Digitale

Pubblicato il 19 Mar 2012

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Favorire la nascita di start-up italiane con una normativa ad hoc e in generale far crescere il mercato del digitale italiano con interventi mirati sulla domanda e sull’offerta. È questa l’idea di Confindustria Digitale per sviluppare l’asse Ricerca e Investimenti, in un pacchetto di proposte che ha inviato al governo in merito all’Agenda digitale italiana. Ce ne parla Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale.
L’Agenda digitale italiana si prefigge di dare impulso alla ricerca e agli investimenti in innovazione, tra le altre cose. A riguardo, l’Italia com’è messa?
Siamo in una situazione molto particolare. Il mercato Ict soffre del calo dei ricavi e dei margini, ma è chiamato a proseguire con gli investimenti per mantenere la qualità del servizio e soddisfare la crescente domanda da parte di aziende, utenti, pubbliche amministrazioni. Il mondo dell’Ict in Italia investe ogni anno circa 8 miliardi di euro. Di questi, la parte delle Tlc è circa 6 miliardi di euro.
È poco o è molto?
È buono rispetto alla media europea. Nell’Ue a cinque, anzi, l’Italia è al secondo posto per investimenti del settore in rapporto al fatturato: 14%. Seconda solo al Regno Unito (17%). Seguono la Germania con il 12% e Francia e Spagna con l’11%.
Allora il problema qual è?
Se i ricavi continuano a calare, il settore rischia di non riuscire a mantenere quel livello di investimenti. Per questo motivo le nostre proposte sono ad ampio spettro: chiedono misure per far crescere la penetrazione di Internet in Italia. La filosofia è fare switch off di ciò che ora è su carta e farlo passare sul digitale. La carta d’identità e i servizi connessi, le pagelle, le iscrizioni all’università, la cartella clinica… Noi proponiamo di compiere un primo switch off di un set di servizi già quest’anno. Per far crescere gli investimenti, chiediamo inoltre al governo di sostenere l’e-commerce con una tassazione agevolata. Un’aliquota temporanea del 10% su tutte le vendite online; detassazione parziale dei ricavi fatti dalle Pmi con l’e-commerce internazionale; abolizione dell’onere burocratico della presentazione mensile degli elenchi Intrastat per gli acquisti online delle Pmi.
Ma per far crescere la domanda bisogna soddisfarla con servizi migliori.
È il tema del digital divide. Nella nostra proposta, pensiamo di eliminare quello residenziale tramite l’Lte. E di usare la fibra ottica invece per i distretti industriali. Sono 300mila le imprese in digital divide. Da qui al 2015 il problema deve essere risolto.
Sostenere l’offerta, incentivare la domanda. Il terzo pilastro per potenziare investimenti e ricerca in innovazione è sviluppare l’ecosistema delle start-up italiane.
Tradizionalmente in Italia l’innovazione in Italia l’hanno fatta le grandi aziende. Spesso quelle straniere, tramite le sedi italiane: Ibm, Alcatel Lucent, ora anche Huawei. Ma sì, è giusto quello che dice lei: la vera innovazione nell’Ict la fanno le start-up. Su questo in Italia abbiamo una situazione sui generis. Molti giovani con tante buone idee, molte iniziative, ma poca finanza. Pochi venture capital che le sostengano. E questo è un problema: in Israele, Canada, Usa, i Paesi al top della classifica per nascita di nuove aziende, c’è una struttura forte di venture capital.
Che da noi manca…
Il punto è che il venture capital richiede attitudine al rischio e grande conoscenza del settore dove s’investe. Sono aspetti che mancano nella nostra tradizione finanziaria. La situazione però sta migliorando. Stanno arrivando fondi come il tedesco Early Bird e il Fondo Italiano di Investimento che hanno capito il forte fermento in Italia e vogliono essere della partita. Mentre si stanno rafforzando quelli già attivi da tempo, come HFarm e 360Capital.
Quindi che cosa proponete, per la crescita delle start-up innovative?
Abbiamo un’ipotesi di normativa.Agevolazioni fiscali dirette per gli investimenti venture capital; semplificazione della burocrazia per le start-up. Creazione di un “exit market” con sgravi fiscali per le aziende italiane che decidessero di acquisire start-up italiane o che abbiano “sponsorizzato” la nascita di incubatori o piattaforme di aggregazione di idee e iniziative imprenditoriali.
Il governo potrebbe considerare le detrazioni come un costo per le casse dello Stato, in questi tempi di magra.
No, perché sarebbero detrazioni su un’attività che ancora non c’è. E sarebbero compensate dalle nuove entrate fiscali derivanti da quell’attività. Le nostre proposte non costano nulla allo Stato; serve solo la volontà politica di adottarle.

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