CRESCITA 2.0

Start up, il decreto Crescita 2.0 dà il fischio di inizio

Il provvedimento spinge l’effervescenza del settore ma troppi nodi sono ancora da sciogliere. A cominciare dalla mancanza dell’atteso Fondo dei Fondi e di una governance adeguata

Pubblicato il 15 Ott 2012

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C’è fermento tra le start up italiane. Lo vedi dalla frequenza di eventi dedicati. Dall’attenzione di università ed enti locali. Dalla crescente cura del mondo politico, che si avvicina incuriosito, sbircia e percepisce un nuovo spazio di consenso. Il capitolo del Decreto Sviluppo bis dedicato al sostegno delle imprese innovative non può che accrescere l’effervescenza perchè introduce nel sistema una buona carica di ossigeno, anche se manca l’intervento forse più atteso, quel Fondo dei fondi che avrebbe dovuto aumentare la disponibilità di capitali.

Non sarà trasformata l’Italia, come ha detto il presidente del consiglio Mario Monti, ma in mancanza di risorse è stato dato più che un segnale di disponibilità: contratti flessibili prima di tutto; possibilità di remunerare i dipendenti con stock option; detrazioni fiscali per chi investe; legalizzazione del crowfunding per la raccolta di capitali attraverso siti internet; qualche piccolo risparmio amministrativo. Provvedimenti efficaci ma con tempi di attuazione lunghi, è il rating del Sole24ore. E comunque bisognerà vedere che cosa accadrà durante il cammino parlamentare.


L’ecosistema ringrazia e va avanti. Che cosa dicono le 1.300 presenze in una calda giornata di fine settembre al Globe Theatre di Villa Borghese per la prima edizione di TechCrunchItaly se non l’esistenza di un movimento di innovazione che forse non salverà l’economia italiana ma certamente può contribuire a ridarle slancio e creatività? “Molte cose si stanno muovendo”, dice Luca Ascani, fondatore e presidente di Populis, che ha voluto e organizzato il raduno romano con la rivista americana “bibbia” dell’innovazione tecnologica.

“Ma è necessario dare visibilità internazionale a chi sta facendo bene. E sono in tanti”. La start up che ha vinto la competition fra le 47 selezionate da Mind the bridge è ben rappresentativa del modello prevalente: Atooma, quattro under 30 che stanno sviluppando un’idea per personalizzare l’uso delle app sugli smartphone, che sono la frontiera di sviluppo più promettente. Alle start up cominciano a guardare con interesse le grandi aziende, come laboratori esterni di innovazione. A TechCrunchItaly si è presentato Vodafone xone, l’acceleratore che arriva direttamente dalla Silicon Valley: un osservatorio per cercare soluzioni strategiche per Vodafone, lo definisce Fay Arjomandi, responsabile del progetto.


Lo scenario è globale e per questo c’è la necessità e la ricerca di visibilità in due sensi: le start up italiane devono farsi conoscere all’estero ma devono anche capire che cosa succede nel mondo. Finestre aperte sono state Tci ma anche, il giorno prima, “Capitali coraggiosi”, meeting di debutto dell’associazione Roma StartUp, che in collaborazione con Working Capital, il progetto dedicato di Telecom Italia, ha portato in Italia Phil Wickham, presidente e ceo del Kaufmann Fellow Programm (la più grande scuola di venture capital del mondo), e Jason Best, giovane e determinato imprenditore che ha convinto Obama a legalizzare il crowdfunding. Negli Stati Uniti si parte in gennaio e molto dipenderà da come la Sec scriverà il regolamento di attuazione.

Il Decreto Sviluppo bis prevede una forma limitata di crowdfunding. Ma in Italia si fa già, anche se “informalmente”. Nelle ultime settimane due start up hanno trovato capitali attraverso una piattaforma Internet, Siamosoci.it, che mette in contatto le nuove imprese e i potenziali investitori. I contratti vengono poi perfezionati offline. Styloola, social network di moda basato sulla geolocalizzazione, ha raccolto oltre 200mila euro da soci privati, anche molto piccoli. E RisparmioSuper, guida alla spesa low cost, ha chiuso un primo round da oltre 400mila euro, con la partecipazione di un fondo territoriale.
C’è fermento.

E ci sono i segnali di una crescente fiducia nei confronti delle imprese innovative. Ma anche di un rischio potenziale: la dispersione di energie e di risorse finanziarie. Roma si candida ad essere capitale dell’innovazione, Milano si sente naturaliter capitale delle start up. Ogni ente locale lancia il suo programma, molte grandi imprese si impegnano in progetti di sostegno, gli eventi si moltiplicano, le feste abbondano. La tentazione del campanile è sempre in agguato. E non si intravvede un soggetto capace di svolgere compiti di indirizzo e coordinamento. Un hub, magari istituzionale, che eviti inutili duplicazioni. Anche perché la linfa finanziaria è scarsa. Rassicurante è quindi la nascita di Alliance Startup, una lega di acceleratori (Nanabianca, Firenze, guidato da Paolo Barberis; Boox, Milano, di Andrea di Camillo e Marco Magnocavallo; H-Farm, Treviso, di Riccardo Donadon) per unire le forze e gli sforzi a favore del movimento. Aspettando che il decreto diventi legge.

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