L'INTERVISTA

Giari: “Start up, valorizzare il modello italiano”

Il presidente del Polo Tecnologico di Navacchio e dell’Apsti: “L’Agenda digitale deve tenere conto che in Italia le imprese innovative nascono grazie a progetti pubblico-privato e che operano in una logica di servizio sul territorio”

Pubblicato il 02 Nov 2012

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«Un passo avanti verso la crescita e la competitività economica in un comparto di alta prospettiva come è quello dell’alta tecnologia». Alessandro Giari, presidente del Polo Tecnologico di Navacchio e dell’Apsti (Associazione Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani) inizia così la sua analisi sulla parte dell’Agenda dedicata alle start up.
Cosa la convince di più?
Soprattutto aver finalmente dato una definizione, una codifica della start up e degli incubatori in generale che supera la logica del “nome” – non basta cioè chiamarsi start up per essere tale – per abbracciare una strategia che mira a valutare il lavoro dell’impresa sul versante dello sviluppo di prodotto ad alto valore tecnologico, sulla capacità di creare occupazione sui territori.
Il Crescita 2.0 deroga la riforma Fornero sul mercato del lavoro offrendo la possibilità di contratti a tempo determinato senza causale fino al limite massimo di 36 mesi, con la possibilità di una proroga di altri 12 per arrivare a coprire i 4 anni della start up.
Crede che sarà utile?
Il fatto che la deroga copra i 4 anni della start up permette alla nuova impresa di gestire al meglio le risorse soprattutto nella seconda fase, quella dell’accelerazione che apre la strada al mercato, che è quella più delicata dal punto di vista finanziario. Per cui, sì, la deroga potrebbe determinare effetti positivi.
Nulla da dire sull’impianto generale del provvedimento dunque..
In realtà ci sono della debolezze che riguardano le modalità di finanziamento e sostegno alle start up.
Ma nel testo si prevendono meccanismi di defiscalizzazione per gli investitori. Non basta?
No, perché è solo un primo passo che serve nella fase di “incubazione” ma che lascia scoperta la seconda, quella dell’accelerazione che, come ho appena detto, è quella più delicata. L’Italia si trova in una situazione di carenza strutturale dei capitali di rischio e soffre di un gap rispetto al resto d’Europa che frena la sua competitività. In questo senso un fondo dei fondi poteva esser una soluzione ottimale: un “anchor investor” che sostiene il processo di fundrasing degli investitori privati e di quelli istituzionali, affiancando il venture capital tramite investimenti nel fondo e l’investitore informale tramite il matching delle singole operazioni. Si tratta di una proposta che l’Apsti aveva elaborato nel paper inviato alla task force start up del Mise e recepita anche nel report Start up Italia. Nel testo licenziato dal Cdm non ve ne è traccia, speriamo si possa in qualche modo ripristinare al momento della conversione in legge del decreto. Ma la questione delle risorse trova un limite anche nella di domanda.
In che senso?
In Italia manca una domanda “evoluta”. Gli imprenditori start upper sono in genere “tecnici” altamente specializzati che non sono abituati a ragionare in termini di capitale di rischio. Sarebbe stato auspicabile che il decreto avesse dedicato – noi lo abbiamo proposto nel paper inviato al Mise – una parte alla formazione della cultura di impresa perché per le start up non ci si può affidare alla tradizionale trasmissione del know how imprenditoriale tra padre e figlio che caratterizza gran parte del tessuto aziendale italiano. In questo modo si offre al “tecnico” la possibilità di diventare un buon imprenditore.
Passera propone un modello sulla scia di M31 ed Hedge Farm. La convince?
In teoria sì perché lì c’è un imprenditore che si mette sulla spalle il rischio di impresa, un po’ il “modello americano” che risponde ad una logica di profitto. Ma il nostro Paese vede nascere start up grazie a progetti pubblico-privato che operano non in una logica speculativa bensì di servizio sul territorio: negli ultimi tempi il Polo di Navacchio ha accompagnato 80 nuovi progetti. Sono numeri che fanno massa critica. Credo che il governo debba guardare a queste esperienze e facilitarne la messa a sistema in un ottica di filiera.

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