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Governance di Internet, via al “distacco” dal governo Usa

Pubblicate le linee guida per la transizione del controllo dell’Icann a una “global multistakeholder community”. Il presidente Fadi Chehade: “Garantirà indipendenza e neutralità”. Ma i critici dell’iniziativa temono l’ingerenza dei governi repressivi

Pubblicato il 04 Ago 2015

Domenico Aliperto

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Era nell’aria da tempo, e finalmente è arrivata la conferma: l’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, in altre parole l’ente non profit che vigila sull’assegnazione dei domini Web) uscirà dalla giurisdizione del governo degli Stati Uniti per diventare un organismo autonomo. L’intero documento che spiega nel dettaglio la trasformazione prevista dall’ICG (IANA Stewardship Transition Coordination Group) consta di 199 pagine ed è disponibile sul sito dell’organizzazione (www.Icann.org), come base per una consultazione pubblica (si terrà fino all’8 settembre) per permettere a utenti e stakeholder della Rete di commentare la roadmap. Il corposo testo contenente le linee guida della transizione è stato elaborato dallo Iana, gruppo di 30 persone in rappresentanza di 13 comunità e stakeholder di Internet.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione, in quanto lo Iana (Internet Assigned Numbers Authority, diretta emanazione dell’Icann) passerà entro la metà del 2016 dal controllo del National Telecommunications and Information Administration, facente capo al ministero del Commercio Usa, a quella che viene definita una “global multistakeholder community”. È dal 1998 che l’Icann fa riferimento al governo americano, e se questa può sembrare una distorsione a chi considera Internet l’emblema delle libertà e dei diritti apolidi, bisogna ricordare che il World Wide Web è un’invenzione tutta americana che gli americani, nel corso degli anni ’90, hanno deciso di condividere con il resto del mondo.

Quindi, se da una parte l’operazione mira a rendere realmente privo di un unico referente il meccanismo di assegnazione dei numeri e degli indirizzi di Internet, suscitando l’entusiasmo di molti sostenitori della trasparenza senza se e senza ma, dall’altra desta qualche perplessità tra chi ritiene che difficilmente la cosiddetta global multistakeholder community (presidiata dai Regional Internet Registries, dalla Iana Function Review, da un Customer Standing Commitee e con le attività supervisionate dallo IAB, Internet Architecture Board) offra il fianco a ingerenze da parte di Paesi che non possono offrire la stessa accountability del governo a stelle e strisce. Parliamo in primo luogo di Iran, Russia e Cina che più volte, negli anni passati, si sono espressi a favore di una gestione dell’Icann ad appannaggio delle Nazioni Unite, anziché dei soli Usa. Ampliare la governance ad altre nazioni significherebbe rivestire l’Icann di un ruolo politico oltre che tecnico, snaturandone così il ruolo originario. L’allarme è stato lanciato in particolare dal Washington Times, dove si legge che portare avanti un’iniziativa del genere sarebbe come trasformare l’editore delle pagine gialle nell’Autorità garante delle Telecomunicazioni.

Ma il presidente dell’Icann, Fadi Chehade tira dritto: “Presto daremo alla community i poteri per garantire l’accountability dell’organizzazione come istituzione”, ha dichiarato Chehade, che ha confermato l’utilizzo del termine ‘multi-stakeholder’ in netta opposizione alla parola ‘multilaterale’, riferita alla concomitanza di più governi negli affari dell’Icann. “Quello intrapreso è comunque un percorso già tracciato sin dalla nascita dell’ente. Saranno gli utenti di Internet e le parti interessate, a partire dalle aziende private, coloro che garantiranno l’indipendenza e la neutralità di questo modello”.

Modello che in ogni caso è destinato a innescare ulteriori polemiche e conflitti di interesse. Solo lo scorso mese l’Icann è stata subissata di critiche per una querelle scoppiata sulla proposta di inserire nei registri pubblici dei domini i recapiti dell’effettivo detentore dello spazio online. Un’ipotesi formulata in nome della prevenzione di possibili frodi e della semplificazione nel risalire agli autori di crimini on line partiti da siti sospetti. Alla base delle critiche rivolte all’idea (avanzata, va detto, proprio da un paio di quegli stakeholder citati da Chehade: Facebook e MarkMonitor) c’è naturalmente la tutela della privacy delle imprese o dei comuni cittadini che non vogliono associare il proprio indirizzo, anziché per esempio quello dei service provider, ai domini di loro proprietà.

Si preannuncia quindi un anno incandescente. Ma c’è da essere sicuri che già nei prossimi 30 giorni, durante i quali verranno raccolti i pareri della comunità mondiale sulla trasformazione dell’Icann, il confronto sarà senza esclusioni di colpi.

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