DIGITAL SINGLE MARKET

E-commerce e contenuti, l’Europa stringe sul Digital Single Market

Mercoledì il Consiglio dei Ministri Ue darà il via all’eliminazione del geoblocking e alla portabilità dei contenuti. Ma la strada dell’approvazione del pacchetto è ancora lunga

Pubblicato il 23 Mag 2016

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Entra nel vivo l’iter di approvazione del pacchetto di norme sul Digital Single Market. A un anno dal varo della strategia europea sia la Commissione sia il Parlamento mostrano la volontà di premere l’acceleratore – tra gennaio e febbraio sono state votate risoluzioni per la “tempestiva applicazione” – anche perché non mancano fascicoli “delicati”: si va dalla riforma del copyright fino alla revisione del framework sulle Tlc e sulla privacy. Per l’approvazione la strada è lunga: la Commissione dovrà elaborare, sui singoli temi, una proposta che tenga conto delle posizioni di tutti gli stati membri, poi il Consiglio dovrà adottarla e, infine, il Parlamento approvarla in via definitiva.

Intanto mercoledì 25 maggio il Consiglio dei ministri europeo darà il via libera a due importanti novità: la portabilità dei contenuti in tutta Europa degli abbonamenti premium ai servizi di audiovisivo e l’eliminazione dei blocchi che impediscono ai cittadini di fare acquisti online su sito di e-commerce di altri Paesi. Due novità che, appunto, daranno l’avvio al Digital Single Market.

Per quanto riguarda i contenuti la Ue punta a consentire a un abbonato di vedere i contentui del suo abbonamenti anche in un Paese diverso da quello nel quale ha stipulato il contratto. Per evitare, però, che si crei un mercato dei diritti per cui ognuno compra partite o serie tv dove vuole, andando così ad intaccare i mercati più sviluppati, si pensa di limitarne la visione per un tempo determinato. Il punto è: per quanto tempo? La discussione verterà su questo. Le pay tv temono per i proprio investimenti e che le nuove regole vadano a tutto vantaggio degli Ott.

Secondo quanto ha appreso l’Ansa, inoltre con la revisione della direttiva sui servizi audiovisivi si cambierà il sistema di calcolo della quota di pubblicità consentita in tv, passando da quello orario attualmente in vigore a uno giornaliero. Ora come ora, infatti, non è possibile superare i 12 minuti di pubblicità all’ora, pari al 20%. Con le nuove regole, la pubblicità non potrà superare complessivamente il 20% ma nell’arco dell’intera fascia oraria 7-23. Questo di fatto consentirà di programmare più spot durante il prime time della fascia serale. L’obbligo di mostrare il 20% di film o produzioni europee in vigore per le tv sara’ esteso anche alle piattaforme di video on demand: al momento quasi in ogni Paese Ue già esistono obblighi di questo tipo, solo che sono estremamente differenti da Paese a Paese variando dal 10% al 60%. Bruxelles vuole ora introdurre una soglia minima armonizzata al 20%, e riconoscere anche la possibilità di includere i contributi finanziari ai fondi nazionali per la produzione audiovisiva. In Italia ci saranno cambiamenti epocali, in quanto è già prevista dalla legislazione nazionale una quota del 20% di film e del 5% di contributi alle produzioni audiovisive. Un giro di vite arriverà anche sulla protezione dei minori come già previsto per le trasmissioni televisive, mentre sarà reso più facile bloccare canali di propaganda violenta o estremista.

Sul fronte commercio elettronico, nel pacchetto in dicussione si punta ad aprire il settore a livello continentale elimando il geoblocking. Ma se i Paesi membri sono tutti più o meno concordi sull’abolizione, freni arrivano dalle multinazionali che hanno politiche di prezzo differenziate per ogni Paese.

Secondo le stime di Bruxelles, se le famiglie europee potessero comprare online nei migliori marketplace per prezzo, indipendentemente dal Paese, risparmierebbero 11,7 miliardi l’anno. E il geoblocking è un freno anche per le Pmi: solo il 7% vende online fuori dai confini nazionali.

In Italia il settore dell’e-commerce sta vivendo in Italia un periodo di crescita, ma la progressione non è abbastanza forte da recuperare il gap accumulato in questo campo rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei: secondo il Centro Studi di MM-One Group, il Paese è 24esimo sui 28 Stati dell’area Ue, e si classifica davanti ai soli Cipro, Grecia, Bulgaria e Romania.

Dalla ricerca emerge che il ritardo dell’Italia riguarda sia i cittadini, che ignorano ed evitano ancora questo metodo di acquisto, sia le imprese, la cui quota di fatturato legato all’e-commerce è ancora molto modesto.

La quota di fatturato delle imprese derivante dalle vendite in rete è appena del 9%, mentre in Europa la media si attesta al 17%. Inoltre appena il 13% delle attività commerciali del nostro Paese ha una piattaforma di vendita integrata nel proprio sito web (la media europea è del 17%) e solo il 10% riceve ordini via internet (con una media UE pari al 19%). L’unico dato che si avvicina alla media europea è quello relativo alle imprese italiane che fanno acquisti online: si tratta del 38%, contro una media europea del 40%.

Secondo i dati di MM-One group soltanto il 26% degli italiani ha fatto almeno un acquisto sul web, contro l’81% degli inglesi (la media europea si attesta al 53%). L’acquisto di viaggi online è all’11% (UE 27%, Germania e Francia oltre il 35%, Danimarca 57%), mentre solo il 28% degli italiani utilizza l’e-banking per le operazioni di conto corrente, a fronte di un 86% della Finlandia e di una media europea del 46%.

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