L’autunno caldo della Pec Un bando a misura di Poste

Sotto attacco le procedure di gara per la mail certificata: requisiti troppo limitativi

Pubblicato il 14 Set 2009

Autunno caldo in vista sul fronte delle comunicazioni digitali tra
PA e cittadini. Entro la fine di questo mese partirà – Inps e Aci
stanno aspettando l’ok del ministero della PA e Innovazione – la
sperimentazione sulla Posta elettronica certificata. Ma la
sperimentazione, ancora prima di essere lanciata, è già bersaglio
di critiche. Legate al Disciplinare di gara pubblicato lo scorso
agosto, che contiene specifiche sui requisiti tecnici talmente
stringenti da ridurre all’osso il numero delle aziende in grado
di partecipare alla gara per diventare concessionari. In barba a
quel principio di concorrenza che tanto piace al ministro
Brunetta.

Il testo varato dal ministero della PA e Innovazione prevede
infatti che possano iscriversi alla gara quelle imprese che abbiano
realizzato servizi di gestione di scambio di dati informatici, di
posta elettronica o Pec, di gestione di software applicativi e di
assistenza ai clienti per almeno 15 milioni di euro nell’ultimo
quadriennio e almeno cinque nell’ultimo anno. E inoltre – e qui
la stretta al numero dei candidati possibili – viene richiesta una
rete di sportelli in grado di assicurare l’accesso in almeno
l’80% dei Comuni italiani con popolazione residente superiore a
10mila abitanti, con orario di apertura al pubblico dal lunedì al
sabato almeno dalla 9 alle 13.

“Ma a me, di società candidabili a queste condizioni – dice al
Corriere delle Comunicazioni, Andrea Lisi, presidente dell’Anorc
(Associazione nazionale operatori e responsabili della
conservazione sostitutiva) – viene in mente una sola società!”.
Ovvero Poste italiane, unica in grado di soddisfare queste
caratteristiche e, stando così le cose, l’unica a poter mettere
le mani su un progetto per il quale sono stati stanziati circa 50
milioni di euro. Milioni che verranno pagati dai contribuenti
cittadini italiani, ai quali invece era stato promesso un servizio
totalmente gratuito. Gli utenti, spiega Lisi, andrebbero poi a
pagare anche quei servizi accessori aggiuntivi che il
concessionario potrebbe decidere di associare a quello base di mail
certificata.”Il disciplinare – ribadisce – prevede anche questa
possibilità”.

Oltre all’affaire Poste, la Pec made in Italy si trova  a dover
affrontare anche “problemi di identità”. Il bando non parla
infatti di una casella di Posta certificata ma di una Cec-Pac
(Comunicazione elettronica certificata tra PA e cittadino), utile
solo nelle comunicazioni tra utenti ed enti pubblici. “Il
servizio, piuttosto che una vera Pec, sembra uno di quegli
strumenti alternativi alla Pec previsti dalla legge 2/2009 –
rimarca ancora il presidente dell’Anorc -. Questo provvedimento
ha reso possibile, accanto alla Pec, altri sistemi di trasmissione
elettronica dei messaggi che certifichino la data e l’ora
dell’invio e della ricezione delle comunicazioni e garantiscano
l’integrità del contenuto delle comunicazioni trasmesse e
ricevute, assicurando l’interoperabilità con analoghi sistemi
internazionali”.
In altre parole la nuova casella non sarà universale e gli utenti
– imprese o cittadini – ne dovranno acquistare un’altra, stavolta
a titolo oneroso, per utilizzarla per trasmettere info e documenti
a strutture e uffici diversi da quelli pubblici. Oppure chiedere al
futuro concessionario di aggiungere servizi ulteriori che la
rendano utilizzabile anche nei rapporti con altre realtà, anche
private (commercialisti, avvocati etc.).

Altra questione in ballo, la privacy. Lo stesso bando prevede che,
associato alla Cec-Pac, ci sia un fascicolo personale elettronico,
le cui funzioni, però, non sono specificate. Ovvero non è chiaro
a cosa possa servire e come sarà tutelata la privacy dei dati
eventualmente inseriti.

A puntare il dito contro la Pec che verrà, anche i consumatori.
Adiconsum è preoccupata dell´impatto che “una Pec di fatto
pagata dai contribuenti ed imposta dall’alto possa creare in un
Paese colpito dalle conseguenze della crisi economica in atto
nonché da un pesante digital divide strutturale e culturale –
spiega al Corriere delle Comunicazioni, Paolo Landi, segretario
generale di Adiconsum -. Inoltre abbiamo rilevato che questa
simil-Pec non è interoperabile world wide. Sostanzialmente inutile
al di fuori dell´Italia: in futuro potrebbe essere rigettata dalla
Ue”. In deroga a quanto previsto dalla suddetta legge 2/2009. Una
Pec “non Pec” che doveva essere “regalata”, ma che sarà
pagata da tutti contribuenti. Una Pec che consentirà al cittadino
di comunicare solo con la PA. Una Pec che nascerà in barba alla
concorrenza e al mercato. E infine una Pec non interoperabile fuori
dai confini nazionali. C’è da scommettere che per la
“rivoluzione in corso” del ministro della PA  e Innovazione
Renato Brunetta si prospetti un autunno caldo. Anzi bollente. 

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