AGENDA DIGITALE

E-health, Italia malata di federalismo

L’Agenda digitale scommette su ricetta elettronica e anagrafe sanitaria nazionale, ma la frammentazione regionale ostacola la messa a sistema. Interoperabilità e riuso le parole d’ordine per rilanciare l’innovazione

Pubblicato il 18 Feb 2013

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La crisi economica che si è abbattuta dal 2008 sull’Europa ha avuto pesanti ripercussioni sui servizi sanitari nazionali, che rappresentano le prime voci di spesa per gli stati (i governi nazionali spendono fino al 15% del loro budget in sanità). Diventano dunque sempre più necessari piani di intervento per ridurre i costi, puntando sulla trasparenza, sulla riduzione degli sprechi e sulle campagne di prevenzione mirate. Il piano d’azione sull’e-health messo a punto dalla Commissione europea mira proprio a raggiungere questi obiettivi, partendo dalla convinzione che il settore deve ancora sfruttare appieno il cospicuo potenziale offerto dalla svolta digitale per migliorare i propri servizi e realizzare risparmi di efficienza.
Il programma intende chiarire le aree di incertezza del diritto e, dal punto di vista più strettamente tecnologico, migliorare l’interoperabilità tra i sistemi. Si tratta di presupposti necessari per la realizzazione dell’Agenda digitale europea che dedica all’e-health un corposo capitolo centrato, in particolar modo, sulla gestione e l’accesso ai dati, leva per lo sviluppo di tutti gli altri progetti strategici a cominciare dal fascicolo sanitario elettronico (Fse).

L’Agenda fissa al 2015 il termine per mettere a sistema i principali obiettivi, come l’accesso online da parte di tutti i cittadini ai propri dati sanitari. In Italia, con la conversione in legge del decreto Crescita 2.0, è stato tracciato un percorso che potrebbe rappresentare una leva di straordinaria efficacia per semplificare e migliorare i servizi offerti ai cittadini e, al contempo, aprire nuovi spazi di mercato alle imprese innovative. “In campo sanitario l’Agenda digitale può produrre una vera rivoluzione – spiegano da Federsanità Anci – Dalla ricetta elettronica alla gestione di un’anagrafe sanitaria nazionale, si eliminerebbero in via definitiva lentezze e sacche di inefficienza, consentendo ad esempio l’aggiornamento in tempo reale delle nascite, dei decessi e dei cambi di residenza e velocizzando tutte le procedure dei rapporti tra le realtà sanitarie e la PA”.

Se oggi l’Ict in sanità costa oltre 6 miliardi l’anno, con risultati spesso incoerenti e con segmenti che sono tutt’altro che comunicanti, l’Agenda digitale crea finalmente le condizioni per lo sviluppo di un sistema realmente integrato, che potrà produrre circa 12 miliardi all’anno di risparmio sulla parte amministrativo-gestionale consentendo la loro riconversione in servizi di cura, dando allo stesso tempo impulso alle imprese giovani e competitive sotto il profilo della conoscenza, che resta il terreno più vantaggioso per il nostro sistema Paese. Ma non è tutto oro quello che luccica. Non sono pochi gli ostacoli alla realizzazione degli obiettivi del piano telematico nazionale. A cominciare dalla questione della frammentazione dei sistemi contabili che impedisce un monitoraggio efficace della spesa delle Regioni e delle Asl.


Come spiega Paolo Colli Franzone, direttore di Netics ed esperto di sanità elettronica “è questo il primo vero ostacolo” per l’e-health made in Italy.
“In Italia 240 Asl hanno altrettanti sistemi contabili – puntualizza Colli Franzone – Piattaforme diverse per software e codifica che impediscono un monitoraggio e un controllo efficace della spesa con impatti negativi anche sulle possibilità di investire in Ict. Non è un caso se l’ultimo governo, nel definire la spending review, abbia optato per i tagli lineari: non è stato possibile agire diversamente dato che le informazioni contabili omogenee non erano a disposizione”.
Il primo passo da fare sarebbe dunque quello di unificare i sistemi, come hanno scelto di fare Umbria e Toscana, le uniche due Regioni che – non a caso – hanno presentato un bilancio consolidato sul settore sanitario e che – ancora una volta non a caso – sono tra quelle più avanzate in campo di e-health.

Ma la disomogeneità non è solo contabile. Il nostro Paese soffre anche di una frammentazione figlia di un federalismo digitale che ha iniziato a mostrare la corda. “L’Agenda digitale italiana considera il Fascicolo sanitario elettronico la testa d’ariete per digitalizzare tutto il comparto – evidenzia ancora il direttore di Netics – Ma non dimentichiamo che l’Italia viaggia a due velocità: ci sono Regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Trento) che hanno già realizzato il fascicolo digitale e altre che ancora sono in alto mare. È vero che il piano telematico rappresenta un’occasione per i territori in ritardo, ma solo a patto che si adottino sistemi realmente interoperabili. Siamo un Paese ad altissima migrazione sanitaria e non è pensabile che le piattaforme non si parlino tra di loro. L’altro elemento chiave è il riuso: per il monitoraggio della spesa e per l’efficacia degli obiettivi la possibilità di utilizzare sistemi già adottati in altre Regioni è fondamentale”.
Ma perché interoperabilità e riuso diventino le parole d’ordine serve una governance forte e in qualche modo centralizzata dei progetti. “Sarebbe utile – conclude Colli Franzone – un tavolo di confronto con una regia unica. Immagino che l’Agenzia digitale possa espletare questo ruolo a patto che le sia riconosciuta una golden share, ovvero un potere di veto, e il potere di obbligare le Regioni al riuso senza incorrere in pericolose ridondanze”.

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