PUNTI DI VISTA

La burocrazia italiana avrebbe bocciato il garage di Jobs

Il bando del Mise per le start up chiede la descrizione dell’ufficio. Altro che velocizzazione delle procedure per l’avvio di nuove attività imprenditoriali

Pubblicato il 26 Mag 2014

Edoardo Narduzzi

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Esiste una fenomenologia delle startup, intesa come serie di storie che da decenni danno colore al mondo del business. Ed esiste anche una mitologia delle startup, fatta soprattutto dei luoghi “sacri” dove i grandi imprenditori degli ultimi decenni hanno iniziato la loro marcia di attraversamento del deserto e di corsa verso la leadership mondiale. Tra i luoghi più mitologici delle startup ci sono sicuramente il garage californiano, dove venne fondata la Apple di Steve Jobs e dove per qualche tempo la startup operò effettivamente, e la stanza del motel di Albuquerque nel New Mexico, dove Bill Gates co-fondò la Microsofot e dove lui, Paul Allen ed un paio di junior lavorarono alla nascita di una delle imprese di maggior successo della storia del capitalismo.

In questi luoghi impensabili, forse perfino impossibili, sono nate e nascono alcune delle imprese che di più hanno contribuito al miglioramento della qualità della nostra vita ed all’avanzamento del capitalismo. Luoghi, appunto, impensabili per la burocrazia da quinto mondo dell’Italia che ora, fortunatamente, il premier Matteo Renzi vuole combattere con “violenza” per ricondurla nell’eurozona.

Le startup, infatti, sono diventate il nuovo sudoku dei politici del Belpaese. Sono il fenomeno del momento in un paese con una disoccupazione giovanile intorno al 44%, dato che certifica senza alcun commento la necessità di rottamazione della classe politica che ha avuto qualsiasi funzione di governo negli ultimi tre decenni. La speranza dei politici è che le startup possano creare tanta buona e nuova occupazione giovanile.

Peccato che, tra il dire ed il fare, ci sia di mezzo la burocrazia. Vanno letti i vari bandi per le startup innovative (solo in Italia il legislatore ha dovuto specificare che una startup debba essere innovativa a riprova del labirinto giuridico-amministrativo nel quale si è caduti). C’è quello del Mise e di Invitalia che chiede una descrizione dell’ufficio o della sede operativa – e se stesse in un garage o in una stanza di motel? -, quelli regionali che richiedono esperienza comprovabile da parte dei soci per guadagnare punteggi ed accedere ai finanziamenti – e quale esperienza aveva i due dropout Jobs e Gates all’inizio? – o quelli che richiedono il Durc come requisito minimo di accesso, senza neppure porsi il problema che la fenomenologia del lavoro all’inizio dell’avventura è fondata sull’atipicità dei contratti e sulla flessibilità estrema.

Il governo Monti ha operato un’innovazione positiva stimolando la cultura pro startup ma, affidandone la gestione all’attuale PA, ha creato un originale girone infernale della burocrazia. La morale è sempre la stessa: con l’attuale cultura della burocrazia il Pil italiano non riprenderà mai a correre.

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