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“Alle Pmi dell’Ict serve un patto per lo sviluppo”

Massimo Di Virgilio, consigliere Cdti: “Anche le imprese di piccole e medie dimensioni devono poter partecipare agli appalti pubblici. Solo così potranno contribuire al riscatto del Paese. Ma per riuscirci serve l’impegno dell’Ue e dei governi nazionali”

Pubblicato il 18 Giu 2015

Enzo Lima

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Dopo il convegno organizzato a Roma il 13 giugno 2014, il Cdti è tornato a fare il punto il 10 giugno u.s. sulla partecipazione delle Pmi agli appalti pubblici.

Nella sua relazione di apertura, Massimo di Virgilio, Consigliere del Cdti, è ripartito dalle richieste formulate un anno fa, sottolineando quali e quante continuino ad essere ancora le barriere che rendono difficile l’accesso agli appalti delle Pmi, citando tra le tante il mancato recepimento dell’AS 251 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la inadeguata segmentazione degli appalti, l’eccessivo ricorso alle gare di body rental. Ha poi proseguito con un elenco altrettanto ampio di proposte a cominciare dal blocco delle tariffe/giorno per persona ad un minimo di 250€, alla limitazione dei ribassi delle basi d’asta al 10%, fino alla oggettivazione delle metriche di aggiudicazione e al sorteggio dei valutatori interni o esterni. L’auspicio espresso è che si possa innalzare il rango delle Pmi da mero sub-appaltatore a soggetto degno di partecipare direttamente ai progetti, pagato al prezzo di aggiudicazione, in tempi rispettosi delle norme vigenti.

Una serie di richieste indispensabili per superare la drammaticità della situazione dell’Ict italiano, in un Paese che in questo settore continua ad arretrare, con l’occupazione in calo e con il rischio che le Pmi escano forzatamente di scena. Quasi tutte soffrono e lottano con grandissima difficoltà per sopravvivere, solo pochissime riescono ad evolvere fino a raggiungere dimensioni significative, molte falliscono. Una recessione che avviluppa tutti, i lavoratori, la Pubblica Amministrazione, le Pmi e le Grandi Imprese.

Come ribadisce Massimo di Virgilio non ci sono ricette semplici, suggerendo di guardare a chi ha conseguito risultati migliori, come gli Usa e la Germania, paesi certamente più competitivi ed efficienti. I primi, dal 1954 hanno varato lo Small Business Act (Sba) e hanno ottenuto risultati eccellenti, i secondi, da qualche tempo hanno cominciato a segmentare le gare. Certamente non basta copiare statunitensi e tedeschi, adottando soltanto le specifiche iniziative citate, ma certamente soluzioni analoghe potrebbero aiutare a cambiare rotta. L’Ue, da parte sua, dopo aver partorito una sorta di Sba, ha emanato altre “direttive” per sollecitare i Governi locali a fare molta attenzione alla politica della domanda pubblica, sollecitandoli, attraverso nuove leggi, ad attivare anche una “moral suasion” per sostenere con molta più decisione la partecipazione delle PMI negli appalti pubblici.

Sollecitazioni che, combinate con il riequilibrio in corso tra euro e dollaro, al dimezzamento del costo del petrolio, al quantitative easing della Bce alla riduzione del costo del denaro, all’Expo 2015 e al Giubileo, potrebbero costituire un incentivo straordinario per offrire alla classe dirigente del Paese, responsabile di questa negativa situazione, l’occasione di un utile riscatto.

Questo è il momento, conclude Massimo di Virgilio, di unire gli sforzi, sottoscrivendo un patto per lo sviluppo tra i diversi attori in campo, in cui ciascuno si impegni a fare la sua parte:

– Prima di tutto, le Pmi: cui spetta l’onere di affrancarsi dalla condizione subordinata nella quale versano per assumere con più decisione il loro ruolo, concentrandosi a produrre innovazione e a sviluppare “buona” occupazione, irrobustendo il tessuto connettivo esistente, attraverso un rafforzamento patrimoniale, una messa a fattor comune di valori distintivi, una aggregazione di valori e di aziende, con la costituzione di consorzi stabili, di reti di imprese, con operazioni di acquisizione o di fusione.

– Poi, la PA: cui spetta chiarire se intende assumere anche un ruolo più ampio di stazione appaltante, costruendo una “politica della domanda”, con cui impegnare diversamente i circa 5 miliardi di euro investiti ogni anno, mediante la redistribuzione di una quota stimabile intorno al 20%, pari ad 1 miliardo di euro, cui ammonta la “compressione” esercitata sulle PMI, liberando queste ultime dallo schiacciamento che il rango di sub appaltatori attualmente comporta,

– Infine, la “Politica”: cui spetta il compito di semplificare una volta per tutte le norme, oggi troppo aggrovigliate, per disciplinare la materia in forma adeguata, anche attraverso un intervento radicale che possa riservare al mondo Ict una specifica unitaria regolamentazione, al di fuori di confini di altre tipologie di appalto e, al tempo stesso, definire finalmente una “politica industriale”, capace di dare una svolta al settore, inglobando organicamente il tema delle PMI, dell’occupazione giovanile, della produttività, dell’innovazione e dell’internazionalizzazione.

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