Voip, la protesta dei piccoli Comuni: “Impossibile procedere”

Fabio Refrigeri, coordinatore Unione di Comuni-Anci Lazio spiega le ragioni del mancato decollo della tecnologia nelle amministrazioni locali. “Manca la banda larga e per il Roi servono anni”

Pubblicato il 04 Apr 2011

Se nella PA centrale il Voip è al palo in quella locale,
soprattutto nei piccoli Comuni, non è mai decollato. A spiegare il
perché Fabio Refrigeri, coordinatore Unione di
Comuni- Anci Lazio e sindaco di Poggio Mirteto in provincia di
Rieti.

Un flop negli enti più piccoli. Qual è il
motivo?

Per fare il Voip serve banda larga e sappiamo quale è la
situazione della copertura di rete in Italia: la maggior parte dei
5116 piccoli comuni italiani è in digital divide infrastrutturale
e, anche laddove la connessione veloce arriva, spesso non è
continua né tantomeno uniforme nella stessa area di competenza
comunale. Ecco cosa ha frenato la diffusione del Voip.

C’è qualche chance di rilanciarlo?
Guardi la questione è più complessa di quello che sembra. Nel
senso che la telefonia via Ip doveva essere una sorta di
rivoluzione che, però, non è scoppiata, per i motivi appena
esposti. Sarebbe dunque il caso di chiedersi se vale ancora la pena
di avviare progetti in questo settore soprattutto oggi con il
proliferare di tecnologie, in particolar modo mobili, che bypassano
il Voip e che costano molto meno.

Ma il refrain che abbiamo sentito in questi anni diceva
che, nonostante l’investimento iniziale, il Voip fa risparmiare
molto…

Anche qui bisogna puntualizzare. È vero che i risparmi stimati si
aggirano sul 50% della spesa totale della telefonia, ma è
altrettanto vero che questi vantaggi iniziano a realizzarsi a
distanza di anni rispetto all’investimento iniziale e soprattutto
non sono un guadagno vero e proprio, semmai un “rientro
finanziario” di quanto speso per il progetto.

Ma se un Comune – piccolo – volesse, nonostante tutto,
provare con il Voip cosa dovrebbe auspicare?

La soluzione sarebbe l’elaborazione di piani condivisi con
Governo e Regioni sul modello della Regione Emilia Romagna. Per la
diffusione della telefonia Ip la giunta guidata da Errani, nel
2008, ha lanciato un programma in cui Province e Comuni
compartecipano e co-finanziano un programma più generale di
introduzione di nuove tecnologie di comunicazione in cui modalità
e obiettivi sono definiti dal solo ente regionale.

Ma l’Emilia Romagna ha a disposizione molta banda larga,
anche grazie al progetto Lepida…

Appunto. E qui torniamo al nocciolo della questione: la banda
larga. Senza Internet veloce tutti i progetti di digitalizzazione
rischiano di fallire, dal Voip fino a tutti gli obblighi previsti
dal nuovo Cad, passando per il Suap (lo sportello unico per le
attività produttive) e la Pec.

Quindi bisogna investire sulla fibra?
Anche nella fibra, direi io. Per i piccoli Comuni investimenti di
rete fissa sono spesso molto onerosi; per questo sarebbe utile
pensare un programma anti digital divide che preveda investimenti
anche in tecnologie diverse, come il WiFi e il Wimax, per sostenere
la crescita delle infrastrutture di rete. Detto questo va
sottolineato un altro punto: fibra ottica e wireless serviranno a
colmare il gap ad oggi esistente, ma non ad eguagliare quanto
avranno fatto, tra pochi anni, altri Paesi che già stanno
spingendo su tecnologie di connessione ancora più moderne e
performanti come il 4G. Credo che anche in Italia sia utile
iniziare a pensare in questa prospettiva per evitare di ritrovarci
a dover colmare un ritardo ancora più pericoloso per la PA e il
sistema Paese tutto.

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