Turatto: “PA digitale, la leva è l’integrazione”

Il Capo del Ddi rivela la ricetta per modernizzare l’amministrazione Italia: “Non serve lo switch off della carta, ma servizi digitali affiancati a punti di accesso tradizionali”. Via al rafforzamento dei canali di accesso “mobile” e all’implementazione delle Reti amiche

Pubblicato il 09 Mag 2011

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Innovazione sostenibile e a costo zero. Al suo giro di boa – lo
stesso ministro Brunetta aveva detto che il 2011 sarebbe stato
l’anno della “massa critica” – il programma di
digitalizzazione messo in campo da Palazzo Vidoni si svilupperà
all’insegna di questi due concetti. Ad annunciarlo Renzo
Turatto
, Capo Dipartimento Digitalizzazione e Innovazione
Tecnologica,.
Ci spiega meglio cosa vuol dire innovazione
sostenibile?

Vuol dire che si deve smettere di pensare a uno switch off della
carta in tutte le procedure amministrative e nell’erogazione dei
servizi di front office ma puntare a dematerializzare in senso
multicanale, con attenzione precipua al Web e al Mobile, mantenendo
allo stesso tempo punti di accesso “tradizionali” laddove non
ci sono le condizioni per digitalizzare, vuoi per motivi di digital
divide infrastrutturale vuoi per cause culturali. Un esempio di
successo, in questo senso è rappresentato dalla Reti Amiche.
E tutto questo è compatibile il “costo
zero”?

In questo momento è molto più che compatibile, è una realtà
dato che siamo riusciti a mettere a frutto gli investimenti per
l’e-gov fatti negli anni precedenti. A questa condizione
privilegiata, piuttosto rara in tempi di crisi, si è poi aggiunto
un importante sforzo legislativo, rappresentato dal varo del nuovo
Cad che punta a mettere a sistema l’innovazione per creare
risparmi da reinvestire
Il testo stabilisce una roadmap per l’adeguamento alle
norme. La PA ce la farà rispettare le scadenze?

La questione non è se l’amministrazione sia pronta o meno,
quanto se i decisori sono pronti ad accompagnare gli enti sul
cammino dell’innovazione, varando i regolamenti attuativi
necessari. E questo lo sta già facendo il Dipartimento e anche
DigitPA, a cui il Codice riconosce funzioni più ampie di quelle
previste finora. A breve saranno emanati i primi regolamenti
attuativi relativi all’indice iPA, che riporta le norme tecniche
per il protocollo informatico e consente di reperire informazioni
sulla Pec.
I risultati ottenuti dal governo sono stati riconosciuti
anche dalla Ue che però, pur considerando l’Italia una best
practice, sottolinea uno scarso utilizzo di servizi digitali. Non
pensate di fare qualcosa per il digital gap culturale?

Indubbiamente in Italia esiste un’importante fetta della
popolazione che rischia di rimanere fuori dalla rivoluzione
digitale, ma io non credo che siano i programmi di alfabetizzazione
informatica la leva dell’inclusione: la questione non è tanto
“insegnare” ad usare l’Ict quanto mettere a disposizione
strumenti più user friendly in un’ottica, come dicevo prima,
multicanale. Motivo per cui stiamo puntando all’ampliamento
dell’offerta di prestazioni dell’iniziativa ViviFacile,
ampliandone il portafoglio sul Web e sul cellulare.
Anche la Pec è stata pensata per semplificare l’accesso
alla PA. Ma ora sembra essere al palo con solo 600mila caselle
attivate. Cosa succede?

Certamente la massa critica che speravamo ancora non si è creata
ma continuiamo a credere che la Pec sia lo strumento più adeguato
per modernizzare la PA sia per la facilità di utilizzo – le e-mail
continuano ad essere usate massicciamente nonostante l’avvento di
Skype e social network – sia perché svolge due funzioni
importantissime, quella di identificazione dell’utente e quella
di certificazione della ricezione del messaggio. Non a caso il
nuovo Cad, che va nella direzione di una ulteriore semplificazione,
fa della Pec lo strumento principe della digitalizzazione.
E allora perché la massa critica ancora non c’è?
Cittadini e imprese non hanno capito la convenienza?

Se la Pec incontra qualche ostacolo è perché non ci sono i
servizi annessi. Perché un cittadino dovrebbe attivare una casella
di posta certificata se poi non ci può fare nulla? In questa fase
gli enti si devono impegnare a lanciare servizi fruibili tramite
Pec. E iniziative interessanti già ci sono, prima fra tutte quella
delle supplenze nella scuola pubblica. Il ministero ha messo a
disposizione 500mila caselle per i supplenti che devono interagire
con istituti scolastici e provveditorati. A poco più di un mese
dall’avvio del progetto sono già state attivate 100mila caselle
e contiamo di dare la volata il prossimo anno scolastico, quando la
Pec diventerà obbligatoria per tutti gli insegnanti in attesa di
chiamata. Il ministero degli Interni, invece, obbligherà a breve i
Comuni a comunicare tramite e-mail certificata tutte le variazioni
di stato civile.
Quindi le amministrazioni centrali e locali si parleranno
via Pec. Nessun problema di interoperabilità che, invece, rilevano
i critici del vostro piano digitale?

Onestamente la questione dell’interoperabilità lascia il tempo
che trova. Che vuol dire che i sistemi pubblici devono essere
interoperabili? Che si devono parlare? Mi pare ovvio. Ma il nodo
non è tanto tecnologico quanto di servizio: se le PA, o le PA e
gli utenti, devono scambiarsi dati all’interno di un servizio
standard e per questo facilmente ingegnerizzabile, allora basterà
affidarsi a una piattaforma Web. Ma se, invece, al dialogo
“telematico” va aggiunta una corposa documentazione e, insieme,
uno strumento di riconoscimento dell’utente, allora la Pec
risulterà essere più conveniente. Con questi esempi voglio dire
che gli enti devono essere messi nelle condizioni di scambiarsi
agevolmente le informazioni, al di là del sistema scelto. Anche
con la e-mail certificata la PA è interoperabile, dato che le
consente di dialogare all’interno e all’esterno.
È soddisfatto dei risultati raggiunti finora o crede che
avreste potuto fare di più?

Abbiamo raggiunto risultati interessanti in settori chiave come la
scuola, la giustizia con l’avvio del processo telematico, e la
sanità con i certificati di malattia online. E non sono io a
dirlo, lo dicono i numeri: quasi la totalità dei tribunali ha
aderito al piano straordinario sull’e-justice mentre vengono
inviati giornalmente da oltre l’80% dei medici oltre 100mila Web-
certificati. Ora tocca alle ricette digitali, il secondo pilastro
dell’e-health.

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