Google News, siamo sicuri che gli editori possano farsi pagare?

La decisione choc sulla Spagna accende un faro sulla guerra fra il motore di ricerca e le notizie online. Il nodo è lo sfruttamento dei contenuti: ma, sul tema, la giurisprudenza apre altre strade

Pubblicato il 12 Dic 2014

Francesco Graziadei, Avvocato, Graziadei Studio Legale

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E’ di ieri la notizia che Google, ritenendo eccessivamente oneroso il pagamento di una fee agli editori spagnoli per la visualizzazione di alcuni dei loro contenuti nel servizio Google News, come recentemente previsto da una legge che entrerà in vigore a breve, getta la spugna e “chiude” il servizio in Spagna. La vicenda spagnola è, come noto, analoga a quella tedesca della Google tax, sulle cui ricadute negative, proprio sugli editori, in quel Paese si stanno però interrogando.

A parte le scelte di policy della rete più o meno condivisibili e sulle quali a lungo si può discutere a me sembra che sfugga al dibattito un punto fondamentale in diritto. Perché Google dovrebbe pagare una fee agli editori per il suo servizio? Beh, la risposta è (o sembrerebbe) immediata: perchè sta sfruttando i loro contenuti. Sta cioè insinuandosi subdolamente nelle possibili forme di sfruttamento economico dei diritti di proprietà intellettuale spettanti agli editori. Si è ampiamente detto del fatto che Google news non inserisce pubblicità quindi non guadagna da ricavi pubblicitari.

Quello che però sfugge è che lo sfruttamento economico in questione, da cui discenderebbe la necessità di riconoscerne le utilità agli editori, mi sembra possa trovare la sua base giuridica esclusivamente in un asserito atto di comunicazione al pubblico del contenuto (in particolare di messa disposizione del pubblico) che costituisce uno degli atti di sfruttamento economico tipizzati dalla normativa nazionale internazionale e comunitaria sul diritto d’autore. E qui sta il problema. Siamo proprio sicuri che la visualizzazione di alcuni contenuti nel servizio Google news possa configurare un atto di comunicazione al pubblico degli stessi e più in particolare un nuovo atto di comunicazione al pubblico dei contenuti effettuato da un soggetto diverso che si aggiunge allo sfruttamento originario effettuato dal caricamento online della testata giornalistica? I giudici europei che più volte si sono pronunciati sui confini del diritto di comunicazione al pubblico ci dicono, ed anche recentemente, di no.

Quali sono gli argomenti utilizzati dalla giurisprudenza? Il titolare di un diritto autorizza lo sfruttamento dello stesso sotto forma di comunicazione al pubblico dell’opera prevedendo un certo pubblico. Sulla base di questa previsione determina quanto farsi pagare. I giudici europei hanno perciò ribadito in più occasioni che solo quando la tecnologia renda possibile raggiungere un ulteriore e nuovo pubblico, non preso in considerazione dal titolare nell’atto originario di autorizzazione, siamo di fronte ad un nuovo sfruttamento. Che va pagato.

Il servizio di Google news a me sembra consista nella visualizzazione di un contenuto che è già presente in rete e liberamente accessibile. Una recente sentenza della Corte di Giustizia del febbraio di quest’anno (C-466/12 Svensson e a. / Retriever Sverige AB) ha stabilito che in caso di linking ad un contenuto presente in un altro sito e accessibile in quel sito in modalità non criptata non c’è un nuovo pubblico e quindi un nuovo atto di comunicazione al pubblico (un nuovo sfruttamento economico). Mancherebbe dunque la ragione della richiesta di un pagamento.

Riporto qui di seguito le conclusioni in merito all’interpretazione dell’art. 3 paragfao 1 della Direttiva Infosoc del 2001, che disciplina il diritto di comunicazione al pubblico.

“1) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve essere interpretato nel senso che non costituisce un atto di comunicazione al pubblico, ai sensi di tale disposizione, la messa a disposizione su un sito Internet di collegamenti cliccabili verso opere liberamente disponibili su un altro sito Internet.

2) L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro possa stabilire una maggiore tutela dei titolari del diritto d’autore, includendo nella nozione di comunicazione al pubblico più forme di messa a disposizione di quelle disposte da tale articolo.”

Ora la giurisprudenza comunitaria ha sempre detto che i vantaggi economici derivanti dal nuovo atto di sfruttamento economico possono anche essere indiretti (come nel caso dello standing dell’Hotel che consente la visione di programmi televisivi nelle stanze degli ospiti, e che grazie a questo posizionamento può praticare prezzi più elevati).

In questo caso però sembra assente una qualsiasi rilevanza economica di un eventuale sfruttamento dei contenuti giornalistici che non solo vengono messi a disposizione degli utenti gratuitamente (il che è fisiologico in un mercato free a due versanti) ma, come già detto, non vengono neanche sfruttati sul versante della rivendita dei contatti agli inserzionisti pubblicitari.

E questo semplicemente perché, come si è detto, non ci sarebbe un nuovo pubblico da rivendere agli inserzionisti che già inseriscono i loro messaggi nelle pagine web dei quotidiani.

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