IL PIANO

Banda ultralarga (dopo Enel) è il turno di Ferrovie

L’Ad Elia: “Per un eventuale coinvolgimento nel piano siamo pronti e disponibili”. Ma ammette: “Fs non è stata contattata”. La società possiede 9mila km di rete ferroviaria di cui oltre 100 km già coperti dalla fibra di Basictel

Pubblicato il 12 Mag 2015

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Si scalda il dibattito sulla partita della banda ultralarga: dopo Enel spuntano le Ferrovie dello Stato. L’Ad di Fs, Michele Mario Elia, ha annunciato che la società èpronta e disponibile”.

“Abbiamo 9000 chilometri di rete ferroviaria – ha sottolineato Elia, a margine di un convegno all’Expo – e alcune centinaia di chilometri sono già state coperte da fibra ottica da Basictel. Da allora non c’è stata un’ulteriore richiesta di implementazione. Per un eventuale coinvolgimento nel piano della banda ultralarga siamo pronti e disponibili anche se la questione riguarda di più i grandi centri e non i collegamenti fra città e città”. Al momento, ha precisato Elia, le Fs non sono ancora state approcciate con riguardo a questo progetto.

Intanto restano accesi i riflettori su Enel e sul ruolo potrebbe svolgere per realizzare il piano sulla banda ultralarga voluto dal Governo. Per il presidente di Cdp, Franco Bassanini, tra Enel e le società di telecomunicazioni “ci possono essere sinergie”. Enel e gli operatori, ha chiarito Bassanini, intervistato durante la trasmissione 2Next “possono dividere la spesa per la fibra, ed Enel può approfittare del piano del Governo” sulla banda ultralarga che prevede incentivi per 6,5 miliardi. “Enel – ha aggiunto Bassanini – potrebbe essere un soggetto, accanto a Metroweb ed ad altri che concorre per portare la fibra dove Telecom non ha interesse a portarla”.

Ma comunque l’eventuale coinvolgimento della società guidata da Starace sarebbe in salita. Una serie di nodi vanno sciolti, a cominciare – come scrive Il Messaggero – dal il finanziamento dell’operazione. La rete di distribuzione elettrica non è dell‘Enel, ma è in concessione. La sua remunerazione è inserita in una voce della bolletta ed è regolata attraverso il Rab (Regulatory asset base). Anche la nuova rete in fibra dell’Enel, da quanto è possibile capire, sarebbe in concessione e remunerata alla stessa maniera. Significa che parte del suo costo potrebbe finire in bolletta. Non è chiaro, prosegue il giornale, se quella elettrica o quelle dei clienti della telefonia.

C’è poi un altro nodo. Enel, come le altre utility, è obbligata per legge ad aprire i suoi cavidotti a tutti gli operatori. La norma dovrebbe essere dunque cancellata. Infine c’è un tema di concorrenza. Nessun aiuto pubblico o monopolio concessorio può essere permesso nelle cosiddette aree nere, quelle cioè dove altri operatori privati stanno investendo. Telecom ha già presentato un piano per le principali 40 città e nei prossimi giorni renderà operativi e vincolanti i suoi impegni.

Sull’ipotesi che sul piano banda ultralarga possa scendere in campo Enel, Telecom Italia sarebbe pronta già pronta a dare battaglia. Il gruppo telefonico, scrive Repubblica, si è già preparata per presentare a Bruxelles un ricorso nel caso in cui i suoi concorrenti attuali o futuri ricevano aiuti di Stato. Il nodo dell’operazione riguarda quindi proprio i finanziamenti e gli eventuali incentivi pubblici necessari a far partire il piano. Se infatti si sta parlando solo delle aree a fallimento di mercato (C e D del piano) è ovvio che lì ci si può andare solo con gli incentivi pubblici e dunque se ci andasse l’Enel nessuno avrebbe niente da obiettare. Se invece gli incentivi vengono destinati anche alle aree nere, cioè quelle a maggiore ritorno economico, allora la battaglia si fa incandescente.

In un eventuale ricorso, precisa il quotidiano, Telecom chiederebbe che Bruxelles imponga il ritiro o il rimborso degli incentivi, almeno dove Telecom Italia stessa investe nella banda larga con i propri fondi. E la cosa rischierebbe di far fare una brutta figura al Governo italiano poichè i due soggetti basati in Italia finirebbero per dover ricorrere a una sorta di arbitrato della Commissione europea, quasi che il Paese non sia in grado di risolvere da sè i propri conflitti di politica industriale. Un segno di debolezza italiana e un richiamo al fatto che le scelte nazionali di politica industriale sono possibili solo nel quadro delle regole europee, fatte rispettare da Bruxelles.

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