Domini Internet: “Basta Icann, la governance passi all’Onu”

Cina e Kenya in testa ai Paesi che stanno facendo battaglia per “detronare” l’organizzazione americana. Sotto accusa anche i costi per i nuovi suffissi aziendali, considerati troppo elevati dai Paesi emergenti

Pubblicato il 08 Lug 2011

La governace futura di internet viaggia sul filo del rasoio.
Nell’occhio del ciclone c’è l’Icann (Internet corporation
for assigned names and numbers) l’organizzazione no profit
californiana che gestisce il sistema di identificazione dei siti
web. Secondo il Financial Times, grandi paesi come il Kenya e la
Cina si sono lamentati a più riprese del fatto che l’Icann ha
troppo potere e che le sue funzioni dovrebbero passare sotto il
controllo di un’agenzia ad hoc che faccia capo all’Onu, sul
modello dell’International Telecoms Union (Itu).

Il pressing degli scontenti, Cina in testa, è montato ancor di
più dopo che a giugno l’Icann ha dato il via libera ad un nuovo
sistema di naming nel segmento aziendale: a partire dall’anno
prossimo le aziende potranno registrare suffissi in concorrenza con
i tradizionali .com e .net, sfruttando il loro logo, ad esempio
.microsoft, .zulu, .fiat, .news. Il prezzo per la creazione di un
nuovo dominio con il marchio aziendale si aggirerà intorno ai
500mila dollari, una somma contestata soprattutto da parte dei
paesi emergenti e più poveri rispetto alle economie
occidentali.

“Un costo del genere è difficilmente giustifcabile nei paesi
emergenti”, ha detto un rappresentante governativo keniota ad un
recente meeting internazionale dell’Icann.

Un’altra decisione dell’Icann duramente contestata da diversi
paesi è stata quella di dare il via libera al suffisso .xxx per i
siti a luci rosse.

Ma tant’è il potere decisionale dell’Icann, fondata nel 1998,
è pressoché incontrastato nel settore del naming online.
L’organizzazione ha un contratto con il Dipartimento Usa del
Commercio, per la gestione del database della Internet assigned
numbers authority, la cassaforte che contiene i nomi dei domini a
livello globale (erano 192 milioni nel dicembre 2009).

L’Icann ha registrato ricavi per 65 milioni di dollari l’anno
scorso, la maggior parte dei quali deriva dalla gabella di 25
centesimi di dollaro pagata ogni volta che si registra un dominio
su Internet. Tutti gli utili sono tenuti in cassa in previsione di
spese legali, che sono all’ordine del giorno.

“L’Icann è una delle istituzioni più strane del mondo”,
dice Shawn Gunnarson, partner allo studio legale Kirton & McConkie.
“E’ una corporation no profit californiana, ma nello stesso
tempo ha poteri molto ampi nella gestione dei domini Internet”.
D’altro canto, Gunnarson aggiunge che “non sono sicuro che la
primavera araba si sarebbe potuta verificare se la gestione dei
domini Internet fosse stata in mano ai governi e non
all’Icann”.

“Tutti i paesi hanno problemi con l’Icann – dice Alexandre
Ntoko, responsabile corporate strategy dell’Itu, l’agenzia Onu
per le Tlc – Non è possibile che una corporation regolata
secondo le norme di un singolo paese si muova come il coordinatore
globale di Internet”. I paesi membri dell’Onu potrebbero
decidere di fare qualcosa, trovando un’alternativa all’Icann.
Tuttavia, il Dipartimento Usa per il Commercio, l’unico ente che
esercita un certo controllo sull’Icann, non è interessata a
modificare lo status quo. Anche se il contratto con l’Icann scade
il prossimo mese di marzo e non è scontato che sia rinnovato.

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