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Italia iperconnessa: la lunga corsa verso la Terabit Society



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Entro il 2035 puntiamo a diventare un Paese digitale all’avanguardia, con infrastrutture capaci di supportare cittadini, aziende e PA. Nonostante i progressi nella diffusione della fibra ottica, persistono disuguaglianze territoriali e difficoltà nell’adozione delle tecnologie. Gli investimenti in backbone e data centre distribuiti, insieme a politiche mirate, saranno essenziali per il futuro digitale del Paese. L’analisi di Massimo Carboni, Cto di Garr

Aggiornato il 13 giu 2025



banda larga, fibra, internet1

Che volto avrà l’Italia digitale nel 2035? Sarà un Paese capillarmente connesso, dove aziende, pubbliche amministrazioni e cittadini potranno contare su reti ultra-performanti, accessibili e resilienti? Di questo si è parlato all’interno della conferenza Garr 2025, il panel “Evoluzione dei sistemi e delle infrastrutture di telecomunicazione nel Paese” moderato da Cristoforo Morandini, esperto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Ciò che è emerso è un concetto chiave: per abilitare la società digitale di domani – la “Terabit Society” – servono infrastrutture potenti ma anche visione strategica, governance multilivello e un ecosistema coerente di innovazione. Ma qual è lo stato reale della rete italiana? Quali sono i piani per il medio periodo e cosa ancora manca per fare il salto di qualità?

Un Paese a tre velocità: infrastrutture (e investimenti) a zone

Secondo l’analisi presentata da Cristoforo Morandini, la rete fissa italiana oggi conta circa 20 milioni di accessi, un numero sorprendentemente basso se confrontato con i 38 milioni della Francia, che ha una popolazione simile: un dato che fotografa non solo la realtà delle infrastrutture, ma anche la fatica dell’adozione da parte degli utenti. La diffusione della banda ultralarga (Ubb) in Italia ha raggiunto l’86%, ma con forti differenze territoriali e tecnologiche: accanto alla crescita impetuosa della fibra ottica fino all’abitazione (Ftth), con 5,9 milioni di accessi nel 2024 e +32,6% nel periodo 2020–2024), resta significativa la presenza di tecnologie ibride fibra-rame (Fttc) con 9 milioni di accessi o alternative (Fwa, connettività a banda larga via radio), con 2,4 milioni di accessi, soprattutto in aree remote e a bassa densità.

E mentre il rame (Adsl) e le linee solo voce si avviano ad uno switch-off naturale, fanno capolino le nuove generazioni di satelliti, con il potenziale di servire anche aree remote e insulari. Tuttavia la sfida è tutt’altro che chiusa: la copertura non si traduce automaticamente in utilizzo, e l’adozione da parte di cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni resta spesso inferiore al potenziale.

L’orizzonte del 2026: completamento o nuova partenza?

Il 2026 è l’anno chiave per il completamento dei grandi interventi pubblici e una tappa fondamentale anche per quelli privati. Oltre a Open Fiber, che ha già coperto circa 16 milioni di unità immobiliari in Ftth, un altro protagonista di primo piano è FiberCop, che opera con un modello misto Ftth/Fttc e ha coperto oltre 12 milioni di unità immobiliari a fine 2024, con l’obiettivo di completare il suo piano di sviluppo Ftth entro 3 anni

Entrambi gli operatori contribuiscono in modo sostanziale alla trasformazione digitale dell’Italia, con i propri piani privati e come attuatori dei piani pubblici gestiti da Infratel. In effetti, Infratel – braccio operativo pubblico – coordina i principali progetti del Pnrr (il Piano Italia a 1 Giga, la rete per la sanità e la scuola connessa, il piano 5G e quello per le isole minori) e il completamento della copertura nelle aree bianche (Piano Bul).

La mappa infrastrutturale nazionale si articola oggi in tre “Italie”: le aree servite da investimenti di mercato; le aree dove è presente un solo operatore e si interviene con sussidi pubblici; e le aree dove solo lo Stato ha investito. Secondo Luigi Cudia (Infratel), queste tre Italie dovrebbero essere pienamente connesse entro la fine del 2026. Ma l’adozione reale dei servizi – il cosiddetto take-up – è ancora un nodo cruciale. La rete, insomma, sta arrivando, ma i cittadini e le imprese la stanno usando davvero?

La rete dopo la rete: le sfide delle dorsali e dei contenuti

Se la Gigabit Society è (quasi) a portata di mano, la Terabit Society in alcuni settori è già realtà. È il caso di Garr la rete italiana dedicata alla ricerca e all’istruzione, che con la sua infrastruttura di rete di ultima generazione copre 23.000 km di fibra in tutto il territorio nazionale, con 100 punti di presenza e una capacità attuale di 27 Terabit al secondo. Se c’è un aspetto che abbiamo imparato nel progettare questa infrastruttura d’avanguardia è che: nella ricetta per la Terabit society per il Paese è necessario potenziare i backbone: le dorsali di lungo raggio della rete, infatti, vengono troppo spesso date per scontate mentre hanno bisogno di essere pensate non per il traffico di oggi ma per quello dei prossimi 15-20 anni. Stiamo entrando in una fase in cui le infrastrutture di accesso saranno più performanti dei backbone, se ogni connessione accademica sarà a 100 gigabit, le infrastrutture di oggi non basteranno. Serve una nuova generazione di dorsali, progettata per i prossimi 15 anni, in grado di sostenere la crescita esplosiva del traffico e abilitare applicazioni avanzate, come la sincronizzazione del tempo, il sensing distribuito e la comunicazione quantistica. È necessario essere lungimiranti e muoversi come già sta accadendo nel settore dell’elettricità, con il potenziamento degli elettrodotti.

Lo stesso tema è stato richiamato da Maurizio Goretti (ceo di Namex), che ha sottolineato l’importanza dei punti di interscambio (Ixp): snodi dove i fornitori di accesso e i content provider (Netflix, Amazon, Google…) si incontrano. Un po’ come aeroporti digitali che ottimizzano il traffico in rete. “Per distribuire i contenuti bisogna portarli vicino agli utenti. Senza una rete di data centre distribuiti, l’Italia rischia di restare dipendente da hub esteri come Marsiglia”. Una carenza che si traduce in latenza più alta, minor resilienza e scarsa attrattività per i grandi player internazionali.

Le imprese, le grandi dimenticate

Un’altra criticità emersa con forza è quella delle aree industriali. Salvatore (Salvo) Lombardo, di FibreConnect, ha mostrato una realtà poco nota: l’Italia conta 14.000 zone industriali, ma solo 1.000 hanno una densità sufficiente da giustificare un investimento privato. FibreConnect, operatore wholesale-only (vende connettività a operatori, non direttamente ai clienti), ha già cablato 200 aree e offre connettività simmetrica e dedicata, cioè una linea in fibra esclusiva per ogni azienda.

L’Italia soffre anche di un divario culturale: come ha spiegato Morandini, spesso le famiglie sono più avanti delle imprese nell’adozione della banda ultralarga. Non per mancanza di bisogno, ma perché le aziende si trovano in zone più difficili da servire, o non hanno le competenze e gli incentivi per sfruttare appieno le nuove tecnologie. In questo senso, i voucher per cloud e cybersecurity previsti dal Pnrr sono un primo passo, ma serve un ecosistema più articolato.

L’impegno pubblico: Pnrr, aree bianche e nuovi progetti

Luigi Cudia di Infratel ha riassunto gli interventi pubblici: oltre 5 miliardi di euro stanziati per coprire aree a fallimento di mercato, con un occhio particolare a scuole, sanità, piccoli comuni e perfino le isole minori. Grazie al Piano aree bianche, circa 8 milioni di unità immobiliari saranno connesse entro il 2026. Ma i progetti Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) sono sotto pressione: “Serve accelerare, siamo oltre il 50%, ma dobbiamo completare in tempi brevissimi”, ha detto.

Sotto il mare (e oltre): la rete invisibile dei cavi sottomarini

Un tema affascinante e spesso dimenticato è quello dei cavi sottomarini, che trasportano il 99% del traffico intercontinentale. Ne ha parlato Fabio Paolo Panunzi Capuano, di Sparkle, operatore globale con 600.000 km di cavi e presenza in 45 Paesi. Sparkle è uno dei rari operatori Tier 1 italiani, cioè in grado di scambiare traffico internet direttamente con gli altri grandi del mondo, come Google o Facebook. Tre i nuovi progetti per il futuro prossimo:

· Blue Raman: collega Genova a Mumbai, in parte già attivo.

· GreenMed: attraverserà il Mar Adriatico, collegando l’Italia al Medio Oriente.

· Panamerica: unirà Stati Uniti, Messico, Colombia e Panama.

Una strategia che ha anche un valore geopolitico: diversificare le rotte e ridurre le dipendenze strategiche oltre a riportare la centralità mediterranea, facendo di Genova, Bari e Chioggia dei nuovi hub intercontinentali.

Open Fiber: campione europeo delle infrastrutture digitali

Open Fiber, presentato da Katia Lazzarini, è oggi il primo operatore non incumbent (cioè non erede dell’ex monopolista) in Europa per estensione della rete Ftth. Anche qui lo sguardo è già oltre il 2026: nuovi progetti prevedono la realizzazione di data centre periferici (i cosiddetti edge data centre) in tutti i capoluoghi di provincia, per portare contenuti e servizi sempre più vicini all’utente finale. Ma c’è di più, Open Fiber collabora a livello scientifico nell’ambito del sensing per rilevare onde sismiche, aprendo scenari inediti per il monitoraggio ambientale e la sicurezza.

Si tratta quest’ultimo di un’aspetto strategico anche per Garr, che è coinvolto attivamente in questa attività avanzate insieme a agli enti di ricerca italiani, come Inrim (per la distribuzione del tempo/frequenza e lo studio del sensing) o attività di sperimentazione sulla quantum key distribution (Qkd) con l’Università di Padova.

Cosa manca allora all’Italia per diventare una Terabit Society?

La risposta, emersa con chiarezza da questo incontro, è complessa e stratificata.

· Serve un backbone di nuova generazione, progettato su scala temporale lunga, per evitare che l’accesso superi il trasporto e generi colli di bottiglia invisibili, andando oltre i limiti tecnologici delle infrastrutture attuali.

· Servono data centre distribuiti, sostenibili e neutri, per attrarre contenuti e ridurre la dipendenza da hub esteri e per migliorare l’esperienza degli utenti.

· Serve accompagnare imprese e PA verso l’adozione reale delle reti, con formazione, incentivi e assistenza tecnica.

· Serve un ecosistema coordinato, in cui pubblico e privato condividano una visione comune.

· Serve una regia, come ha ricordato il giurista Innocenzo Genna, che ha richiamato il ruolo dell’Ue, nel garantire che le infrastrutture restino sotto controllo strategico nazionale.

Come dice Morandini: “Il 2026 non sarà un traguardo, ma una tappa. La sfida vera sarà dare senso economico e sociale alle reti costruite. Per farlo, servono politiche di stimolo alla domanda, nuovi investimenti in backhauling1 e backbone, semplificazioni normative, e soprattutto — come ha sottolineato Goretti — una nuova corsa all’oro: quella dei data centre”.

L’Italia ha fatto passi da gigante negli ultimi anni. Ma il salto alla Terabit Society, un obiettivo strategico per il Paese, richiede uno sforzo aggiuntivo: di pianificazione, di governance, e di coraggio.

E a livello di Unione europea?

Il giurista Innocenzo Genna ha offerto una panoramica critica sul quadro regolamentare europeo ma, soprattutto, sulla visione per le telecomunicazioni nel prossimo futuro. Genna ha ricordato come l’ex Commissario Ue Thierry Breton, già ceo di grandi gruppi Tlc, abbia promosso la creazione di “campioni europei” sul modello Usa e Giappone, sostenendo che non valga la pena mantenere in vita gli operatori minori. Una posizione che trova eco nel rapporto Draghi e che sembra trovare consensi in parte della Commissione, ma che viene fortemente contestata dalla Direzione Generale della Concorrenza (DG Comp). Secondo Genna, DG Comp ha sottolineato come negli Stati Uniti la copertura in fibra sia scarsa e i prezzi più alti, e ha ribadito che le fusioni tra operatori, lungi dal generare investimenti, tendono piuttosto ad aumentare i costi per gli utenti. Il caso del Regno Unito — dove la fusione tra Vodafone e H3G è stata autorizzata solo imponendo precisi obblighi d’investimento — rappresenta un modello di vigilanza attiva, anche se resta il dubbio sull’effettiva capacità dei governi di far rispettare tali impegni.

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