Il futuro Digital Networks Act (Dna) è destinato a diventare uno dei pilastri della strategia digitale europea. La Commissione ha annunciato l’intenzione di presentare la proposta entro il 2026, con l’obiettivo di rivedere il quadro normativo delle comunicazioni elettroniche e favorire investimenti in reti ad altissima capacità, come 5G e fibra ottica. L’Europa, infatti, deve affrontare un ritardo strutturale rispetto a Stati Uniti e Asia, dove le infrastrutture digitali avanzano a ritmi più rapidi e con modelli di business più flessibili.
Il Dna nasce per rispondere a questa sfida, ma il percorso non è privo di ostacoli. Da anni le capitali europee si scontrano su questioni cruciali: dalla ripartizione equa dei costi di rete tra operatori e Ott, alla gestione dello spettro, fino alla riduzione della pressione normativa sulle big telco. Un documento che CorCom ha potuto visionare rivela la posizione di sei Paesi – Austria, Francia, Germania, Ungheria, Italia e Slovenia – che chiedono alla Commissione di evitare un approccio uniforme e di optare per una direttiva, non per un regolamento.
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Cos’è il Digital Networks Act e a che punto siamo
Il Digital Networks Act (Dna) è il progetto di riforma con cui la Commissione europea intende aggiornare il quadro normativo delle comunicazioni elettroniche. L’obiettivo è creare un contesto più favorevole agli investimenti in reti ad altissima capacità, accelerare la diffusione del 5G e della fibra ottica, e semplificare le regole per gli operatori. Il Dna dovrebbe sostituire o integrare parti del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, introducendo strumenti più moderni per affrontare le sfide di mercato e tecnologiche.
Ad oggi, il Dna non è ancora in vigore: la Commissione ha annunciato che presenterà la proposta entro il 2026, ma il testo definitivo non è stato pubblicato. Siamo nella fase di consultazione e confronto politico, in cui gli Stati membri cercano di influenzare la forma e i contenuti della futura normativa.
Perché i Paesi chiedono una direttiva e non un regolamento
Il documento che CorCom ha potuto visionare è un non-paper elaborato da Austria, Francia, Germania, Ungheria, Italia e Slovenia, che chiede di adottare il Dna come direttiva, per garantire flessibilità e rispetto delle specificità nazionali. La differenza non è solo tecnica, ma strategica. Una direttiva consente agli Stati membri di recepire le norme adattandole alle proprie specificità, mentre un regolamento è immediatamente vincolante e uniforme. “I mercati delle telecomunicazioni sono caratterizzati da differenze significative”, si legge nel non-paper. Un approccio rigido rischierebbe di ignorare le peculiarità nazionali, soprattutto in ambiti sensibili come le intercettazioni legali, dove il principio del country-of-origin non può essere esteso.
Questa richiesta riflette una tensione di fondo: da un lato, la necessità di armonizzazione per creare un vero mercato unico delle telecomunicazioni; dall’altro, la volontà di preservare margini di autonomia per gestire aspetti che toccano la sovranità nazionale. Il Dna, quindi, non è solo una riforma tecnica, ma un banco di prova politico per l’equilibrio tra Bruxelles e gli Stati membri.
Spettro e frequenze: il nodo della competenza nazionale
La gestione dello spettro è uno dei temi più delicati. Gli Stati membri rivendicano la competenza esclusiva su politiche e allocazione delle frequenze, considerate una risorsa strategica per lo sviluppo delle reti mobili. Il documento sottolinea che le frequenze devono essere rese disponibili rapidamente, con licenze affidabili e di lunga durata, ma senza centralizzazione. “Solo l’assegnazione da parte degli Stati garantisce che le caratteristiche nazionali siano rispettate”, affermano i firmatari.
La Commissione punta da tempo a una maggiore armonizzazione, per evitare frammentazioni che rallentano il deployment del 5G. Tuttavia, i Paesi temono che un modello centralizzato possa penalizzare chi è più ambizioso e pronto a investire. La cooperazione europea è vista come positiva, ma deve precedere qualsiasi misura di accentramento. In gioco c’è la capacità di attrarre investimenti e accelerare la copertura, senza sacrificare la flessibilità.
Access regulation e rischio di re-monopolizzazione
Un altro capitolo cruciale riguarda la regolazione dell’accesso. I sei Paesi invitano alla prudenza: modificare il sistema attuale potrebbe indebolire la concorrenza e ridurre i benefici per i consumatori. Il documento richiama l’attenzione sull’articolo 80 del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche, che già prevede strumenti flessibili come il modello wholesale-only. L’esigenza di regolazione ex-ante resta, soprattutto per evitare re-monopolizzazioni durante la migrazione dal rame alla fibra.
Non manca un avvertimento sul piano europeo di switch-off del rame: un’implementazione affrettata potrebbe generare costi aggiuntivi, distorsioni di mercato e rallentare la diffusione della Ftth. “Il rischio è di spegnere infrastrutture ancora funzionali, aumentando i costi per i clienti e creando squilibri tra Paesi con livelli diversi di copertura”, si legge nel documento. La transizione verso la fibra è inevitabile, ma deve essere gestita con attenzione per non compromettere la competitività.
Governance: nessuna rivoluzione, ma più efficienza
Sul fronte della governance, il non-paper respinge l’ipotesi di una riforma radicale. “Il quadro attuale funziona e non richiede cambiamenti sostanziali”, affermano i Paesi. Accrescere i poteri amministrativi a livello Ue andrebbe contro l’obiettivo di semplificazione. Nessuna fusione tra Berec e Rspg: i due organismi hanno funzioni diverse e devono restare distinti. Più che nuove strutture, serve efficienza nei processi decisionali e riduzione degli oneri burocratici.
Implicazioni per il mercato e prossimi passi
Il Dna non è solo una questione normativa: avrà impatti diretti sul modello di business degli operatori, sulla concorrenza e sulla capacità di attrarre capitali. Una direttiva potrebbe garantire maggiore flessibilità, ma rischia di rallentare l’armonizzazione. Un regolamento, al contrario, accelererebbe l’integrazione, ma con il prezzo di una minore autonomia nazionale. La Commissione dovrà bilanciare queste esigenze, in un contesto in cui la velocità di deployment delle reti è cruciale per la competitività europea.
Il dibattito è appena iniziato, ma il documento visionato da CorCom segna una presa di posizione forte. In questo scenario, l’Aiip (Associazione Italiana Internet Provider) è stata tra le prime a denunciare la necessità di preservare la flessibilità normativa, sottolineando i rischi di un approccio troppo rigido. La partita si giocherà nei prossimi mesi, con un confronto che promette di essere decisivo per il futuro delle telecomunicazioni europee.










