Introdotte nel 2021, in attuazione della direttiva RED II, con l’art. 20 del d.lgs. n. 199/2021, le “aree idonee” hanno rappresentato un rovesciamento radicale dell’approccio regolatorio all’uso del suolo per l’installazione di impianti FER (Fonti di energia rinnovabile).
Dopo che il vecchio d.lgs. n. 387/2003 aveva aperto le aree classificate agricole all’installazione di tali impianti, erano fioriti a livello regionale i tentativi di sottrarre a tale uso vaste porzioni del territorio nazionale, identificandole come aree “non idonee” in ottemperanza con le Linee Guida del 2010.
La necessità di accelerare l’installazione di impianti FER per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione 2030 ha indotto a individuare, inizialmente per legge, aree particolarmente vocate alla realizzazione di tali impianti, nelle quali l’interesse al perseguimento della transizione energetica potesse fare premio su altri interessi pubblici concorrenti (es. tutela dell’ambiente, del patrimonio culturale, dello sviluppo agricolo).
In tali aree (che secondo il catalogo iniziale comprendevano aree interne a impianti esistenti e siti industriali, cave e miniere cessate, siti di bonifica, aree vicine a zone industriali, ferroviarie, aeroportuali, autostradali) i procedimenti autorizzativi e di valutazione ambientale hanno durate ridotte di un terzo e i pareri in materia paesaggistica, ove previsti, che costituiscono il più frequente ostacolo alla realizzazione di impianti FER, devono essere acquisiti ma non sono vincolanti.
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La reazione degli interessi coinvolti e la difficile attuazione regionale
Queste previsioni di semplificazione e accelerazione hanno però causato una forte reazione, che ha portato all’adozione di provvedimenti legislativi di segno apparentemente opposto, come il d.l. 63/2024 con il quale è stata vietata – con limitate eccezioni – l’installazione di fotovoltaico a terra in area agricola (norma ora oggetto di giudizio dinanzi alla Corte costituzionale), nonché il d.M. 21 giugno 2024 “aree idonee”, di attuazione del d.lgs. n. 199/2021, in base al quale le Regioni – fra le quali erano ripartiti gli obblighi di installazione per il raggiungimento degli obiettivi 2030 – avrebbero dovuto adottare, entro 180 giorni, disposizioni volte a identificare non solo le aree idonee, ma anche quelle non idonee, ordinarie e addirittura precluse all’installazione di fotovoltaico a terra.
Nel medesimo periodo, alcune regioni (come la Sardegna) hanno varato leggi che di fatto qualificavano come “non idonea” la quasi totalità del territorio regionale, anch’esse parzialmente già oggetto di pronunce di illegittimità della Corte costituzionale. Anche il d.M. “aree idonee” nel 2025 è stato considerato illegittimo dal TAR Lazio nella parte in cui, tra l’altro, non recepiva le aree idonee ex lege fra quelle che le Regioni devono necessariamente considerare.
Il testo unico rinnovabili (TUFER) e le zone di accelerazione
Mentre il processo di individuazione delle aree idonee, tuttora in corso, si è scontrato con queste resistenze, dovute all’assenza di programmazione e alla reazione dei portatori di interessi che si sentivano minacciati, l’adozione con il d.lgs. n. 190/2024 di un testo unico sulle rinnovabili, in attuazione della direttiva RED III, prometteva di risolvere queste tensioni con l’introduzione, all’interno delle aree idonee, delle c.d. zone di accelerazione. Si tratta di aree selezionate attraverso un’intensa fase di pianificazione preventiva, che dovrebbe concludersi entro maggio 2026, nel quale i conflitti fra i vari interessi pubblici coinvolti dovrebbero essere composti in sede di programmazione, “a monte” del procedimento autorizzativo, giungendo a identificare ambiti territoriali nei quali i procedimenti autorizzativi semplificati possano svolgersi senza bisogno di acquisire valutazioni paesaggistiche e senza la necessità di valutazioni ambientali (già effettuate a livello macro al momento della pianificazione).
Il d.l. “transizione” e le aree idonee: luci e ombre
Il Governo tuttavia ha deciso – vista anche la necessità di garantire un’ulteriore intensificazione del processo di sviluppo degli impianti FER, pur accompagnata da un’adeguata pianificazione – di intervenire con il d.l. “transizione” (d.l. 173/2025 del 21 novembre) sia sul meccanismo di programmazione delle aree idonee, sia sulla sistemazione della materia, senza toccare il processo di implementazione delle c.d. aree di accelerazione.
Il nuovo decreto, oltre a spostare la disciplina delle aree idonee all’interno del testo unico rinnovabili, mantenendo la distinzione fra aree idonee su terraferma e offshore, la rivisita ampiamente, introducendo anche una definizione di impianto agrivoltaico e ridisciplinando la piattaforma digitale che dovrà sostenere il processo di individuazione e sfruttamento di aree idonee e zone di accelerazione.
Con i nuovi articoli da 11-bis a 11-quater del testo unico sono in buona parte confermate le aree idonee già previste dalla disciplina statale, con numerose categorie di aree idonee di nuova individuazione, applicabili a qualunque fonte, comprendenti un’ampia serie di beni pubblici (i beni del demanio militare o in uso al Ministero della difesa, i beni demaniali o in uso al Ministero dell’interno, della giustizia e degli uffici giudiziari, i beni immobili di proprietà statale non oggetto di programmi di valorizzazione o dismissione, individuati dall’Agenzia del demanio).
Con riferimento agli impianti fotovoltaici, sono confermati i divieti di installazione di impianti a terra in zone agricole, anche se in area idonea, con qualche ulteriore riduzione rispetto al passato – p.e. le aree di impianti o stabilimenti industriali sono idonee solo se essi siano soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, e l’area circostante è idonea ma solo per un perimetro di 350 mt. rispetto ai 500 mt. previgenti – e sono individuate nuove aree idonee “speciali”, comprendenti tutti gli edifici e strutture edificate con le loro pertinenze, le aree a destinazione industriale, direzionale , artigianale commerciale, o destinate alla logistica e data center (anche se non lo sono più le aree circostanti); aree destinate a parcheggio, invasi idrici, laghi di cave e miniere dismesse; impianti e aree di pertinenza nel perimetro del servizio idrico integrato.
Tuttavia, l’installazione di impianti con moduli a terra in area agricola è esclusa anche per tutte queste aree idonee di nuova identificazione (quindi resta possibile solo se l’area ha destinazione diversa da quella agricola). È però espressamente confermata la possibilità di installare senza limitazioni in area agricola impianti agrivoltaici, la cui definizione semplificata è ora di impianto che “preserva la continuità delle attività colturali e pastorali” e a tal fine “può prevedere la rotazione dei moduli collocati in posizione elevata da terra e l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione”.
Migliore è il trattamento che il d.l. riserva agli impianti a biometano, per i quali sono sostanzialmente confermate tutte le aree idonee già previste e buona parte di quelle “generali” di nuova introduzione.
Sono inoltre confermati i regimi autorizzativi semplificati per le aree idonee: carattere obbligatorio ma non vincolante dei pareri in materia paesaggistica (con espressa conferma della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica per gli interventi in edilizia libera o soggetti a PAS), riduzione dei termini procedimentali di un terzo.
Due sono gli altri aspetti di maggiore interesse del d.l. “transizione”. Il primo è l’intervento sull’attuazione regionale, che sembra uscire ridimensionata e maggiormente vincolata all’indirizzo statale. Il decreto, infatti, prevede un nuovo ciclo di legislazione regionale, fissando i principi
fondamentali ai quali le leggi regionali dovranno attenersi. In questo modo, tuttavia, soprattutto stabilendo che le Regioni possono solo individuare aree idonee “ulteriori” rispetto a quelle ex lege, che diventano così un nucleo minimo intangibile, e non possono prevedere divieti indiscriminati per intere categorie di fonti e di aree, si esclude qualsiasi possibilità per la legislazione regionale di ridurre o limitare le aree idonee. Anzi, proprio il fatto che una legge statale ponga nuovi principi fondamentali vincolanti per le regioni in una materia di competenza concorrente, dovrebbe determinare l’abrogazione delle disposizioni regionali già adottate che non siano in linea con tali principi, se le Regioni non saranno rapide nel modificarle. Lo chiarirà probabilmente la Corte costituzionale che a breve dovrà pronunciarsi sui ricorsi avverso leggi regionali molto restrittive, come quella della Sardegna.
Il secondo aspetto è l’apparente assenza di disposizioni transitorie. Modifiche di questa portata sul regime delle aree idonee possono avere impatti significativi sui procedimenti autorizzativi in corso. In passato, in occasione di simili interventi, il legislatore aveva sempre previsto meccanismi di coordinamento. Per evitare che iter autorizzativi possano diventare più complessi o addirittura arrestarsi per effetto delle modifiche introdotte, una possibile soluzione – che dovrà però essere avallata dal Ministero dell’ambiente, magari interpellato dalle amministrazioni procedenti – potrebbe essere applicare anche alla modifica della disciplina delle aree idonee il regime intertemporale introdotto al momento dell’entrata in vigore del TUFER, che consentiva ai procedimenti per i quali fosse già intervenuta la verifica di completezza della documentazione presentata di proseguire in base alla disciplina previgente. In effetti, le modifiche e soprattutto le abrogazioni di norme operate dal decreto “transizione” sembrerebbero essere state inserite nell’allegato D al TUFER proprio perché ad esso si riferisce il regime transitorio contenuto nell’art. 15, che però – altrettanto chiaramente – fa riferimento alla prima applicazione del TUFER (e non alle modifiche successive). E’ quindi necessario un chiarimento espresso per superare questa possibile impasse.






