telco per l’italia

Fibra, edge e piattaforme aperte: così si ridisegna la filiera



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Da Open Fiber a Sirti Digital Solutions, FiberCop, Zte e Oliver Wyman, operatori e vendor ripensano ruoli e modelli per costruire una via italiana all’AI. Focus su InvestAI, sostenibilità e sovranità dei dati

Pubblicato il 3 dic 2025



Telco Tavola 3

Digitalizzazione e intelligenza artificiale stanno spingendo le telco ben oltre il perimetro della rete, ridisegnando processi, modelli di business e alleanze industriali. Alla tavola rotonda “Beyond the network, l’AI ridisegna la catena del valore” di Telco per l’Italia 2025 si sono confrontati su questo tema Massimiliano De Carolis, ceo di Sirti Digital Solutions, Clelia Lorenza Ghibaudo, Head of Technology Plans and Innovation Programs di FiberCop, Nicola Grassi, Direttore Technology di Open Fiber, Emanuele Raffaele, Partner di Oliver Wyman, e Giada Cosentino, Chief Innovation Officer & Pre-Sales Director di Zte Italia. Obiettivo del confronto: capire come automazione, partnership e innovazione sostenibile possano trasformare la filiera in un ecosistema collaborativo capace di generare valore condiviso.

Grassi (Open Fiber): “Solo una rete in fibra distribuita può reggere l’AI”

Ragionando di traiettorie verso il Network-as-a-Service e del ruolo della capillarità Ftth per i nuovi servizi digitali, Nicola Grassi, Direttore Technology di Open Fiber, ha messo in chiaro che “il sistema di telecomunicazioni centralizzato non è sostenibile” e che “va ripensato in chiave distribuita, avvicinando l’elaborazione del dato all’utilizzatore finale”. Solo la fibra ottica simmetrica, ha sottolineato, “può supportare l’esponenziale aumento dei dati garantendo latenza praticamente zero e sicurezza”, abilitando un modello di rete aperta e neutrale “as a service”.

“Noi come Open Fiber – ha fatto presente Grassi – siamo neutrali, siamo la rete, una rete aperta abilitante l’intero ecosistema digitale, a latenza zero, con un sistema ultra capillare di edge data center che stiamo implementando. Noi siamo la rete as a service. Quando sarà superata la fase di training dell’intelligenza artificiale non ci sarà più discussione: servirà un sistema distribuito in fibra per fronteggiare l’esplosione delle applicazioni verticali o locali. Non più una stratificazione di antichi servizi e reti: bisogna abbandonare il rame per liberare il potenziale delle nuove reti in fibra ottica”.

Open Fiber, operatore wholesale only, vanta 160 mila chilometri di infrastruttura e 34 milioni di chilometri di fibra posata. Ma, ha avvertito Grassi, sebbene la copertura Ftth italiana sia ormai vicina alla media Ue, “mancano i clienti”: senza uno switch off deciso del rame – soprattutto nelle aree bianche e grigie – non si libererà il pieno potenziale delle nuove reti in fibra per sostenere l’esplosione di applicazioni AI, edge e cloud distribuito, né si potrà essere protagonisti, e non vittime, della rivoluzione tecnologica.

De Carolis (Sirti Digital Solutions): “Tirarsi su le maniche per una via italiana all’AI”

Per Massimiliano De Carolis, ceo di Sirti Digital Solutions, la sfida è innanzitutto politica e industriale: “dobbiamo tirarci su le maniche” e costruire una via italiana all’AI, senza limitarci ad attendere i pur “sani e dovuti” aiuti di Stato. All’inizio, ammette, guardando all’intelligenza artificiale era più pessimista sul possibile ruolo dell’Italia nella partita: gli Stati Uniti sembravano avere tutte le carte in regola – accesso quasi illimitato a fonti energetiche, capacità computazionale grazie a un monopolio di fatto sulle Gpu, grandi player del networking e della connettività, la forza di fuoco della Silicon Valley su modelli che parevano inarrivabili – mentre la Cina ha scelto una strada alternativa puntando sull’energia, sviluppando propri Llm e muovendosi ora per colmare il gap sulle Gpu. In mezzo, altri mercati che, pur non avendo accesso diretto alle tecnologie più avanzate, stanno comunque definendo strategie AI chiare, montando tecnologie esistenti e lavorando su inferenze adattate al contesto locale.

L’Europa, sottolinea, ha fatto norme – l’AI Act come buon punto di partenza – “ma gli investimenti ancora non si vedono”, mentre il clima politico sembra più concentrato sul “difendere il territorio dagli immigrati” che sul rischio, ben più concreto, di “avere domani migliaia di agenti che sostituiranno lavoro umano”. Da qui la proposta di un modello italiano fondato su edge data center, piccole inferenze molto verticali, collaborazione fra attori dell’ecosistema.

Su questo impianto strategico si innesta il lavoro quotidiano di Sirti Digital Solutions come infrastructure tech company del gruppo Sirti, lungo tutta la filiera a contatto con operatori e vendor, per ripensare in profondità i cinque elementi dello stack infrastrutturale – computing, networking, security, parte applicativa ed energia – e guidare il passaggio dall’economia digitale a quella dell’AI. Il computing, storicamente considerato quasi laterale rispetto al business telco, diventa centrale: si parla di data center e servizi enterprise, ma lo scenario di medio periodo potrebbe vedere “molti che tra dieci anni non avranno più uno smartphone bensì nodi edge” come terminale della nuova intelligenza distribuita. Sul networking, De Carolis ricorda come dalle singole connessioni per famiglia degli anni ’80 si sia passati alle 20 (e più) di oggi e avverte che, nell’AI economy, quando ciascuno avrà magari 20 agenti che lavorano in una serie di applicazioni, l’impatto sulle reti sarà enorme e richiederà una trasformazione strutturale. Anche la security è in piena transizione: nei Soc “ci sono ancora tante persone davanti ai monitor” a fronteggiare attacchi sempre più spesso frutto di combinazioni generate dall’AI, segno che il cambio di paradigma è già in corso. Sul layer applicativo, De Carolis evidenzia come le telco stiano iniziando a vendere non solo connettività ma anche energia, assicurazioni, servizi bancari, continuando però a poggiarsi su uno stack pensato per servizi telco: occorre ripensare l’intero modello applicativo.

Infine l’energia, storicamente trattata come fattore esogeno rispetto al business model delle telco, che nel passaggio a imprese che “fabbricano AI as a service” diventa elemento strategico da integrare nel modello di business: produrre AI non è compatibile con la logica cloud dello “zero marginal cost” e, se vogliamo davvero erogare servizi di intelligenza artificiale, bisogna considerare l’energia come una vera leva industriale, al centro delle scelte di filiera.

Ghibaudo (FiberCop): “Dal network digital twin all’edge dietro casa delle imprese”

Dal network digital twin all’edge “dietro casa” delle imprese: è qui che, per Clelia Lorenza Ghibaudo, Head of Technology Plans and Innovation Programs di FiberCop, si gioca la partita dell’AI sulle reti. FiberCop può contare su una rete estremamente capillare – 27 milioni di chilometri di fibra e oltre 10mila centrali telefoniche sul territorio – un asset fondamentale su cui intelligenza artificiale, algoritmi e meccanismi di autonomous network sono destinati a dare un contributo essenziale, sia all’interno sia verso l’esterno. In collaborazione con Fondazione Restart e Mit, l’azienda sta lavorando alla definizione di un network digital twin, un vero e proprio ecosistema che permetterà di usare in tempo reale i dati che arrivano dalla rete per applicare algoritmi predittivi, supportare l’operatività, aumentare l’efficienza e ridurre capex e opex. Alcuni strumenti sono già in uso, ma il digital twin sarà decisivo anche per la pianificazione degli investimenti e per la manutenzione predittiva, con un impatto diretto sulla qualità percepita dal cliente.

Sul fronte energia, spiega Ghibaudo, FiberCop sta “svecchiando” le centrali e predisponendole a diventare nodi pienamente connessi: in un’infrastruttura già energivora, dotarsi di sensori che consentano di ottimizzare i consumi è fondamentale. Verso l’esterno, l’obiettivo è costruire una piattaforma aperta su cui i fornitori possano sviluppare servizi a valore aggiunto, facendo leva su una rete autonoma capace di ottimizzare, autoconfigurare e autogestire le risorse.

Guardando alla traiettoria futura, Ghibaudo descrive una strategia su due binari: da un lato la “gigafactory” dei grandi ecosistemi europei centralizzati per il training dei modelli; dall’altro la specificità italiana, fatta di una morfologia complessa e di aziende distribuite capillarmente. “Quando gli hyperscaler parlano di region – osserva – parlano di Italia o Europa, noi parliamo di regioni e province”: bene creare grandi modelli e grandi infrastrutture digitali, ma questo richiede di portare l’elaborazione dei modelli addestrati a un livello sempre più locale. I più di 10mila nodi distribuiti e già connessi rappresentano così l’asset chiave su cui far “scendere” questi ecosistemi globali fino al retrobottega delle imprese: un passaggio che richiederà grande capacità elaborativa, permetterà di gestire meglio energia e latenza e renderà strategico lo sviluppo di un telco edge cloud in grado di tenere il dato vicino e trasformare davvero l’AI in valore per il tessuto produttivo.

Cosentino (Zte Italia): “Da vendor a partner end-to-end per reti AI-driven e sostenibili”

Per Giada Cosentino, Chief Innovation Officer & Pre-Sales Director di Zte Italia, la trasformazione della filiera telco implica un cambiamento strutturale del ruolo dei vendor nell’ecosistema: non possono più essere semplici fornitori di tecnologia, ma diventare veri partner end-to-end, coinvolti lungo l’intero ciclo di vita della rete, dalla progettazione all’integrazione fino all’operatività quotidiana. In questa logica Zte lavora alla creazione di piattaforme aperte e interoperabili, pensate per contesti multivendor e multitecnologia, con un contributo attivo alla definizione degli standard internazionali e dei framework che consentono l’integrazione di componenti eterogenei.

L’azienda ha sviluppato anche piattaforme automatizzate per le operations e la manutenzione della rete, in grado di predire i flussi di traffico e i malfunzionamenti e di intervenire in modo autonomo: un segnale chiaro di un paradigma che cambia, con una vera “cogestione” della rete tra operatore e vendor. Sul fronte dell’innovazione sostenibile, Cosentino insiste sul fatto che performance e sostenibilità non sono in contrasto ma si supportano a vicenda: le reti devono essere super performanti ma a basso impatto ambientale. Per Zte la sostenibilità è un punto di partenza e si traduce in un approccio sustainability by design, in cui i prodotti devono consumare meno energia e avere una vita utile più lunga. Questo impegno si articola lungo tre direttrici: innanzitutto l’efficienza energetica delle reti, progettate con meccanismi di energy saving che sfruttano l’AI per allocare dinamicamente le risorse e disattivare quelle non utilizzate, con risultati concreti in termini di riduzione dei consumi fino al 35%; in secondo luogo l’adozione di piattaforme AI per la manutenzione, che abilitano una visione di rete predittiva e la possibilità di intervenire automaticamente, con meno movimentazione di personale e meno sprechi; infine, la proposta di soluzioni con energy saving già a livello di sito, combinando rete elettrica, fotovoltaico e sistemi di storage basati su cloud: una gestione centralizzata che permette di ottimizzare l’uso delle risorse rinnovabili e assicurare un impatto ambientale il più possibile contenuto.

Raffaele (Oliver Wyman): “Telco co-architetti, non semplici utenti dell’AI”

Per Emanuele Raffaele, Partner di Oliver Wyman, l’AI rende evidente “l’elefante nella stanza”: gli enormi investimenti richiesti agli operatori telco. Il punto di partenza è il progetto europeo InvestAI, con fino a 200 miliardi di euro complessivi e 4-5 miliardi destinati alle gigafactory, sostenuti da un supporto pubblico fino al 35%. Ogni gigafactory vale circa un miliardo di investimenti, ma i benefici sono ancora incerti: questo, sottolinea, impone una riflessione seria sul ruolo che l’Italia vuole giocare sull’intelligenza artificiale nei prossimi 10-20 anni.

Il Paese ha un asset chiave nelle competenze: “quando si tratta di inventiva e innovazione non siamo secondi a nessuno”, dice Raffaele, richiamando i risultati promettenti di ingegneri e poli di ricerca italiani. Nella metafora che propone, esistono i macchinari (le Gpu), il tessuto (gli Llm) e la capacità di fare i “vestiti”: è proprio su questa abilità di confezionare soluzioni su misura che l’Italia ha voce nel mondo. Il tessuto industriale nazionale, variegato e data intensive, rappresenta un banco di prova unico per sviluppare questi “vestiti” e soluzioni concrete. In questo scenario, le telco non possono restare semplici fornitori di rete: “Vorremmo che diventassero co-architetti del ruolo che l’Italia può giocare”, afferma, ricordando che gli operatori hanno già quattro ingredienti decisivi – connettività a bassa latenza, data center, capacità di garantire sicurezza e sovranità dei dati verso le istituzioni, capillarità sul territorio – ma devono affrontare sfide complesse su più fronti. Sul piano tecnico serve evitare i silos nazionali e costruire un’architettura aperta, interoperabile e integrata; sul piano energetico, le gigafactory avranno bisogno di energia abbondante, stabile ed economicamente sostenibile. L’auspicio è che l’Italia “sali su questo treno” per decidere il proprio ruolo, non come semplice utente di gigafactory costruite altrove, ma come co-architetto e co-designer dell’ecosistema AI europeo.

Sul fronte del go to market Raffaele invita le telco a una riflessione strategica sulla catena del valore dell’AI: dove si crea davvero il valore e chi lo sta catturando. In Italia la domanda di Gpu è ancora bassa, eppure il valore non è distribuito in modo uniforme – “basta guardare a Nvidia”, osserva, che controlla circa il 92% del market share – e questo solleva una domanda cruciale: se gli operatori investissero solo in infrastruttura, non rischierebbero di investire sempre di più catturando sempre meno valore? Il pericolo è “tornare agli Ott 2.0 in ambito AI”. Lungo la catena del valore, le telco possono certamente dire la loro su connettività e colocation, mentre su GPU Italia ed Europa oggi sono sostanzialmente fuori gioco (forse qualcosa si potrà fare sul quantum), e sugli Llm non abbiamo ancora una posizione rilevante. È invece sui livelli di piattaforme, servizi e “vestiti” applicativi che il settore può giocare più ruoli: da Infrastructure Champion, offrendo connettività e colocation con accesso equo a Pmi, scaleup e startup e garantendo sovranità dei dati – pur con il rischio di un eccesso di offerta rispetto alla domanda – fino al ruolo di Orchestrator, in cui le telco diventano garanti di sovranità nazionale ed europea verso le istituzioni, connettori fra l’ecosistema di startup, scaleup e aziende AI europee e internazionali e il tessuto industriale italiano, assicurando al contempo sicurezza dei dati. L’auspicio finale di Raffaele è chiaro: evitare che le telco si riducano a semplici reseller e imparare dal passato, investendo in servizi ad alto valore aggiunto, progettati e “cuciti addosso” ai clienti italiani ed europei.

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