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AI e sovranità tecnologica: le telco chiedono una politica industriale europea



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Retelit, Eolo, WindTre, Iliad e Fastweb+Vodafone a confronto: servono regole che permettano a tutti gli attori di giocare ad armi pari e agevolare gli investimenti nelle nuove infrastrutture. Il rinnovo delle frequenze? Urge una decisione per sbloccare le risorse. Ecco le proposte per affrontare l’impatto dell’intelligenza artificiale non solo sul settore, ma sull’intera economia nazionale

Pubblicato il 3 dic 2025



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Si fa presto a parlare di priorità geopolitiche e sovranità tecnologica. Ma senza investimenti infrastrutturali, e soprattutto senza una chiara politica industriale di respiro europeo, sarà estremamente difficile sfruttare davvero l’intelligenza artificiale come fulcro dello sviluppo digitale in chiave strategica.

Il pensiero corre naturalmente ai principali attori di questa sfida, le telco. Innanzitutto – ma si tratterebbe solo del primo, più urgente passo – occorre stabilire le modalità di rinnovo delle frequenze mobili del 2029, visto che ballano diversi miliardi di euro che per l’appunto le gli operatori italiani potrebbero destinare alla creazione di un’infrastruttura a prova di AI (e quindi di futuro). Ma a cascata dovrebbero poi essere implementate misure e strategie per indirizzare e agevolare tutti gli investimenti che occorrono per alimentare il nuovo ecosistema digitale.

È stato questo il tema portante della tavola rotonda intitolata “Visioni d’Impresa: le telco italiane alla prova dell’intelligenza artificiale”, di scena oggi a Roma nella cornice dell’edizione invernale di Telco per l’Italia. In particolare, i vertici dei principali operatori della Penisola hanno condiviso le proprie proposte per affrontare l’impatto dell’AI sul settore, tra innovazione, sostenibilità e valore.

Álvarez, Retelit: “Puntiamo a essere un abilitatore della rivoluzione dell’AI”

“Essendo nati come attori in ambito B2B, Retelit ha seguito un percorso di crescita e investimento dettato da una linea precisa, che prevedeva il raggiungimento di una dimensione e di una scala giusta garantire la profittabilità”, ha esordito Jorge Álvarez, ceo del gruppo. “E anche se le dinamiche del nostro comparto ci hanno garantito una crescita rilevante, il nuovo paradigma introdotto con l’intelligenza artificiale richiede a tutti, anche a noi, una trasformazione profonda. Cogliere le nuove opportunità tecnologiche per aiutare imprese e pubbliche amministrazioni italiane a colmare il gap con le organizzazioni di altri Paesi significa a mio avviso fare leva sulla centralità della Penisola come polo strategico a livello europeo”.

Del resto, l’Italia si trova già in una posizione tutt’altro che svantaggiata: “Rispetto alla presenza di data center, siamo al quinto posto tra i Paesi europei, con una capacità stimata di 600 megawatt che nel giro di quattro-cinque anni dovrebbe salire a 2 gigawatt. Il traffico cloud è in crescita, così come la potenza computazionale. Sul piano geopolitico il nostro ruolo è chiaro, siamo al centro del Mediterraneo che è e rimane il punto di contatto tra Asia, Europa, Africa e America. In questo contesto”, ha detto Álvarez, “ci vediamo come un abilitatore – non solo per le big tech ma anche per le aziende e le pubbliche amministrazioni – della rivoluzione che è destinata a essere l’AI”.

Per Retelit porsi come abilitatore vuol dire sostanzialmente creare infrastrutture digitali di nuova generazione. “Il nostro piano di investimento prevede innanzitutto risorse pari a 400 milioni di euro per la realizzazione di nuovi data center nel prossimo triennio. L’obiettivo è quello di garantire la capillarità della capacità di calcolo, visto che la vicinanza all’utente finale sarò sempre più determinante, mantenendo al tempo stesso una prospettiva di sostenibilità, dato che la domanda di energia da parte dell’intelligenza artificiale, lo sappiamo tutti, è incredibile”.

Non basta però puntellare il territorio di AI factory, bisogna anche collegarle, possibilmente con la consapevolezza che stiamo per entrare nell’era del quantum computing. “Ecco perché spenderemo 30 milioni di euro per rinnovare la rete insieme a partner del calibro di Nokia e Cisco”, ha aggiunto Álvarez. “Vogliamo poter contare su network più dinamici, che ci permettano di sfruttare l’AI per abilitare sia un approccio al routing più intelligente, sia per garantirne l’efficienza prevenendo guasti e disservizi con modelli predittivi”.

Per vincere la sfida dell’AI non basta puntare esclusivamente sul fattore tecnologico, occorre anche un’evoluzione culturale. “Siamo d’altra parte solo all’inizio di un viaggio”, ha ricordato Álvarez. “Al momento ci troviamo nella fase della GenAI, a cui seguiranno prima quella dell’intelligenza artificiale agentica e poi quella dell’intelligenza artificiale fisica. Per un Paese come l’Italia, dove la manifattura riveste un ruolo essenziale nell’economia nazionale, quest’ultima rivoluzione, in particolare, sarà cruciale. Se le imprese non maturano consapevolezza, rischiano di perdere un treno importante, e avranno molti problemi a concorrere nel mercato globale. Per supportarle in questa trasformazione, Retelit sta elaborando una proposta semplice costruita su un’infrastruttura di connettività capillare: vogliamo concentrare in un unico bundle, a un costo ragionevole e con la prospettiva della sovranità digitale, soluzioni di connettività, AI, componenti cloud e cybersecurity. Naturalmente”, ha chiosato Álvarez, tutto ciò ha bisogno di investimenti, che a loro volta necessitano di chiarezza a livello regolatorio: le istituzioni europee devono favorirlo, con regole del gioco business friendly. Altrimenti non riusciremo mai a competere sul piano della scala con gli americani e i Paesi asiatici”.


Garrone, Eolo: “Servono cooperazione e cultura del dato”

Parlare di strategia e geopolitica, in Italia, vuol dire anche fare i conti con la digitalizzazione delle aree rurali, montane e dei piccoli comuni. Un ambito in cui Eolo, grazie alla tecnologia Fixed Wired Access, fa la differenza da ormai diversi anni. “Il nostro è stato un necessario lavoro di complemento: non abbiamo portato la fibra, ma abbiamo integrato pezzi dell’infrastruttura esistente per garantire un servizio essenziale in un territorio orograficamente molto complesso”, ha detto il ceo di Eolo Guido Garrone.

“La fibra resta la soluzione mainstream e scalabile, ma implica costi che non la rendono facilmente ottenibile, non quanto meno nel breve-medio termine. L’Fwa costituisce un’alternativa utile laddove manca la connettività Ftth, soprattutto se potenziata dall’AI”. Secondo Garrone, infatti, il tema della quality of experience è centrale, e l’intelligenza artificiale aiuta Eolo a ottimizzare in modo dinamico le prestazioni del segnale. “Utilizziamo agenti ad hoc in grado di estrarre dalla rete informazioni che, una volta sistematizzate, permettono di intervenire in modo proattivo in caso di potenziali disservizi. Voglio precisare che non si tratta di una AI abbandonata a se stessa, ne facciamo un uso consapevole, basato su un know how proprietario e su un knowledge data base per fare training dei sistemi attraverso una logica di costante miglioramento. Solo grazie a questo approccio possiamo erogare e preservare un’esperienza ‘rotonda’, anche insieme a partner e terze parti, e garantire servizi di prossimità realmente efficaci. Ma nello scenario che stiamo per affrontare”, ha precisato Garrone, “tutto questo impegno, anche sul piano degli investimenti, non sarà sufficiente. Serviranno soprattutto cooperazione e cultura del dato: l’AI non può diventare realtà in assenza di data base condivisi e puliti”.

Hanssen, WindTre: “È tempo di agire, cominciamo dal rinnovo delle frequenze”

Benoit Hanssen, co-ceo di WindTre, è invece andato dritto al nocciolo della questione: “L’AI è una leva potente per automatizzare e rendere efficienti e sicure le reti. E per questo stiamo implementando la nuova tecnologia in tutte le nostre operazioni, avviando progetti sia per aumentare l’efficienza energetica del network sia, più recentemente, per rivoluzionare il servizio clienti. Abbiamo anche l’ambizione di condividere con le aziende e le pubbliche amministrazioni le nostre conoscenze, e di investire nelle capacità di cui avremo bisogno per supportare la trasformazione innescata dall’AI e per aumentare la sicurezza delle infrastrutture: siamo noi operatori, del resto, quelli che difendono il Paese sul fronte cyber. Il problema è che per fare tutto questo servono risorse, e le risorse arrivano dai nostri clienti. Se consideriamo che i livelli di investimento del settore sono calati, rispetto al 2020, del 26%, è facile capire che abbiamo bisogno di aiuto, altrimenti rischiamo di diventare semplici fornitori di tubi più o meno intelligenti”.

Hanssen ha fatto notare che le sette grandi sorelle delle big tech americane hanno investito, nel complesso, circa 600 miliardi di dollari in infrastrutture digitali. “E noi? In Italia, entro il 2029, dobbiamo affrontare il rinnovo delle frequenze, che potrebbe costarci 4-5 miliardi di euro. Il punto è che, a soli tre anni di distanza, non sappiamo ancora se dovremo dare questi soldi al governo o se, in presenza di altri meccanismi di assegnazione che evitino l’esborso, li potremo investire in capacità che ci permetterebbero di far avanzare il Paese. Non c’è più tempo, siamo vicini all’approvazione delle legge di bilancio: la nostra proposta è che ogni euro che potremmo risparmiare sul rinnovo sarà investito in infrastrutture critiche. Ma questo sarebbe solo l’inizio perché, ripeto, dobbiamo confrontarci con i 600 miliardi investiti altrove. Una cose è certa: se vogliamo che il cambiamento inizi sul serio,non possiamo aspettare oltre. Una decisione rapida, prima di Natale, può sbloccare questa situazione.”

Levi, Iliad: “Un cambiamento paradigmatico ed epocale da cavalcare. Ecco come”

Anche Benedetto levi, numero uno di Iliad in Italia, ha toccato il tema del rinnovo delle frequenze, auspicando il passaggio a “un’ottica di collaborazione con le istituzioni che favorisca le sinergie tra pubblico e privato. Gli investimenti rimangono privati, lo sappiamo, ma avvengono in un ecosistema in cui le regole sono definite dalle istituzioni. Serve quindi una manutenzione costante del perimetro di mercato, permettendo a tutti di competere ad armi pari e sviluppando politiche industriali coerenti in tutta Europa, che prevedano, per esempio sul fronte dell’assegnazione delle frequenze, esborsi minori a fronte di impegni veri e seri”.

Iliad sta comunque facendo la sua parte nella creazione di un ecosistema europeo in grado di intercettare le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale. “I cosiddetti investimenti infrastrutturali non si possono più limitare alle sole reti, ogni intervento dovrebbe essere a prova di futuro, e quindi di AI”, ha detto Levi. “In questo senso, noi possiamo considerarci leader europei, avendo speso 20 miliardi di euro nella realizzazione di nuove infrastrutture e avendo puntato negli ultimi anni circa 3 miliardi sull’intera catena del valore dell’intelligenza artificiale: disponiamo già di 13 data center, e ne arriveranno di nuovi. Rispetto al cloud computing, la nostra filiale Scaleway offre servizi interamente sovrani, essendo 100% europea in termini di azionariato e ubicazione. Abbiamo inoltre creato il primo e il più grande cluster GPU Nvidia del Vecchio continente, che mettiamo a disposizione di aziende e pubbliche amministrazioni in modalità as-a-service, con modelli open source. Ultimo, ma non per importanza: abbiamo investito 300 milioni di euro nella ricerca di base dando vita, insieme a Eric Schmidt, un laboratorio no profit che condivide i propri risultati con la logica dell’open science. Tutto questo ci serve per affrontare un cambiamento paradigmatico ed epocale che non vogliamo subire, ma che intendiamo cavalcare non solo per sviluppare strumenti a uso interno, ma anche per generare valore economico e geopolitico”.

Renna, Fastweb + Vodafone: “Serve una politica industriale europea”

Come Iliad, pure Fastweb + Vodafone sta puntando sull’AI per cambiare pelle. “Il modello su cui si basa l’evoluzione da telco a techco potrebbe essere alla base della strategia per la costruzione di un campione tecnologico europeo che contribuisca a garantire la sovranità digitale”, ha detto il ceo Walter Renna, senza nascondere che “è la nostra ambizione, anche perché è l’unico modo per superare lo schema che vorrebbe le telco come semplici fornitori di connettività. Dobbiamo però far evolvere il modello di business, e costruire infrastrutture che vadano oltre le reti. Lo stiamo già facendo con il nostro supercomputer per l’AI e il modello AI generativo e agentico Miia, oltre che con una factory dedicata alla cybersecurity”.

Del resto, secondo Renna, in un periodo storico turbolento come quello attuale, gli operatori telco sono più che mai i paladini della sicurezza nazionale e gli araldi dell’innovazione. “Stiamo affrontando crisi multiple in ambito geopolitico, con un ritorno al protezionismo dei grandi mercati, senza contare le guerre in corso e i nuovi campi di battaglia nell’ambito digitale. Basti pensare che noi, in Fastweb+Voadafone, ogni mese gestiamo circa 30 mila attacchi cyber. Il Clusit segnala che le iniziative malevoli aumentano ogni anno a doppia cifra, e l’Italia pesa per il 10% degli attacchi sferrati a livello globale, un dato sovradimensionato per le caratteristiche del nostro Paese. Ecco perché la risposta urgente va data rispetto alla sovranità digitale, ovvero agli investimenti sulle infrastrutture. Tutto questo però funziona se risolviamo il problema strutturale dell’asimmetria con gli Ott sul piano regolatorio e se avviamo una politica industriale europea incentrata su quello che serve davvero: rete, AI, data center e cybersecurity”.

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