IL CASO

Uber, prime cause di lavoro. L’azienda rischia una maxi class action

In California tre conducenti hanno deciso di fare causa per essere riconosciuti dipendenti a tutti gli effetti. E a catena la questione potrebbe riguardare 160mila collaboratori. La società in allarme: “Si rischia un precedente pericoloso per la sharing economy”

Pubblicato il 07 Ago 2015

Uber, prime cause di lavoro. L’azienda rischia una maxi action

Si moltiplicano i guai legali per Uber: in causa con tre suoi lavoratori in California per il presunto trattamento “sleale”, la società della più nota taxi app cerca di evitare che il procedimento si trasformi in class action, creando un “pericoloso precedente”, come ha indicato uno degli avvocati che difende la startup.

Uber è stata trascinata in tribunale da alcuni conducenti che sostengono di avere diritto ad essere considerati “dipendenti” (con i connessi benefit) e non dei semplici “collaboratori”. La causa, intentata presso una corte federale di San Francisco, sostiene che i tre conducenti hanno diritto al rimborso delle spese, come la benzina e la manutenzione dell’automobile, e ad altri vantaggi.

Se il giudice accetterà di promuovere la causa allo status di “class action“, il procedimento andrebbe automaticamente a coprire più di 160.000 conducenti che lavorano per Uber in California e darebbe ai loro avvocati uno strumento molto più potente per negoziare un accordo favorevole.

Nell’ultima udienza il giudice distrettuale Edward Chen ha cercato di capire quali sono le motivazioni che spingono Uber a considerare ogni conducente come collaboratore a sé stante. Secondo il giudice, Uber trarrebbe vantaggio dallo status di class action, se ha solide ragioni legali per sostenere che i suoi lavoratori vanno tutti considerati come collaboratori indipendenti e non “impiegati”.

Ma l’avvocato di Uber Theodore Boutrous dello studio Gibson Dunn ha risposto che sarebbe più opportuno procedere considerando la causa come pertinente ai soli tre conducenti che hanno avviato il procedimento legale anziché far partire una “gigantesca” class action che creerebbe “un precedente rischioso”.

“Se siete sicuri delle vostre ragioni, non rischiate nulla”, gli ha risposto il giudice Chen.

Azienda della sharing economy ad altissimo tasso di crescita, Uber opera in 57 Paesi ed è valutata più di 40 miliardi di dollari. Tuttavia, come noto, il suo servizio basato sulla app mobile e su conducenti freelance, è incappato nelle proteste dei tassisti e nei veti di molti regolatori.

Secondo gli osservatori americani, l’esito della causa legale californiana potrebbe cambiare il futuro della sharing economy, perché è proprio il modello basato su lavoratori indipendenti a garantire la flessibilità nei costi e nell’offerta di queste società. Se Uber dovessse cominciare a pagare i suoi lavoratori come dipendenti, i costi sarebbero molto più alti.

In realtà esiste un precedente sfavorevole a Uber, ma riguarda un singolo caso di un conducente che si è rivolto alla Commissione lavoro della California; questa ha decretato a giugno che il conducente è un impiegato, non un collaboratore, e ha diritto a tutti i benefit: assicurazione, contributi, rimborsi, straordinari e così via.

Ma Uber insiste: la sua forza lavoro è variegata, ogni caso fa storia a sè. I suoi conducenti non hanno niente in comune se non l’uso della Uber App in California. “Tre conducenti non rappresentano la totalità di chi lavora per Uber“, ha ribadito l’avvocato Boutrous.

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