Le Content delivery network (Cdn) non sono equiparabili a reti di comunicazione e non devono ricadere nel Codice europeo delle comunicazioni elettroniche: ne sono convinte le associazioni di categoria europee e italiane del settore tecnologico e in difesa dei consumatori che si sono rivolte al governo italiano per esprimere “profonda preoccupazione riguardo alla Delibera Agcom n. 207/25/Cons, che classifica impropriamente le Content delivery network come reti di comunicazione elettronica soggette al regime di autorizzazione generale previsto dal Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (Eecc)”.
Secondo i firmatari – Business software alliance, Ccia (Computer & communications industry association, Euroconsumers group, Altroconsumo, Internet infrastructure coalition, InnovUp e ITI – la delibera Agcom rappresenta “un’estensione ingiustificata dell’ambito di applicazione del Codice”.
Le associazioni chiedono al Governo italiano (la lettera è rivolta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Ministro Adolfo Urso e al Sottosegretario Alessio Butti) di “impedire l’attuazione della delibera dell’Agcom, assicurando un quadro normativo che promuova l’innovazione, preservi l’allineamento con gli impegni europei e favorisca la trasformazione digitale del Paese”.
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Scontro sulle Content delivery network
Infatti, argomentano le associazioni di settore, “le Cdn operano trasportando traffico in modo privato, a differenza dei servizi di telecomunicazione pubblici che servono direttamente gli utenti finali. Pertanto, tale misura danneggerà l’ecosistema digitale italiano, scoraggerà gli investimenti infrastrutturali e introdurrà, di fatto, delle ‘network usage fees‘ in violazione degli impegni commerciali Ue-Usa dell’agosto 2025, in cui l’Unione europea si impegnava a non introdurre nessuna tipologia di network fee, puntando quindi sulla positiva cooperazione tecnologica tra Europa e Stati Uniti”.
Secondo i firmatari della dichiarazione congiunta, la decisione di Agcom genera anche una significativa incertezza normativa, “particolarmente critica alla luce dell’imminente revisione del quadro delle telecomunicazioni a livello europeo attraverso il Digital Networks Act”.
Una “network usage fee” unilaterale
Argomentano le associazioni: “Procedere con misure nazionali anticipando l’armonizzazione europea rischia di frammentare il mercato unico digitale e compromettere il ruolo dell’Italia come hub strategico per gli investimenti in infrastrutture digitali. È particolarmente preoccupante che l’Italia, che si era già opposta all’introduzione di una network fee già nel 2023, ora si muova unilateralmente, rischiando di creare un pericoloso precedente a livello europeo”.
Prosegue il documento: ‘inclusione delle Content delivery network nell’ambito di applicazione dell’Eecc sottoporrebbe i fornitori di Cdn e i Content application providers (Cup) ai meccanismi di risoluzione delle controversie con gli operatori di telecomunicazioni previsti dall’articolo 26 del Codice.
Come evidenziato dallo studio di Plum Consulting (2025) “Exploring the negative impacts of legally mandated dispute resolution in Ip interconnection”, “tale meccanismo verrebbe utilizzato dagli operatori di telecomunicazioni come strumento per imporre compensi per la distribuzione di contenuti già richiesti e pagati dagli utenti finali, costituendo, di fatto, una network fee attraverso lo strumento regolatorio”.
Cdn e regole, impatti sull’innovazione digitale italiana
Le conseguenze dell’approccio regolatorio italiano sulle Content delivery network avrebbero un impatto severo sul nostro ecosistema dell’innovazione digitale, conclude la dichiarazione congiunta, minando i principi fondamentali dell’architettura aperta e decentralizzata di Internet.
“L’intervento regolatorio colpirebbe direttamente le industrie creative italiane, le startup e le Pmi – si legge -, che dipendono da servizi Cdn competitivi per le loro operazioni digitali, costringendole ad affrontare costi più elevati e un deterioramento della qualità del servizio per i consumatori. Inoltre, tale decisione comprometterebbe significativamente i servizi pubblici essenziali, incluse le agenzie governative, le istituzioni finanziarie e i fornitori di servizi sanitari che si affidano all’infrastruttura Cdn per gestire i picchi di traffico digitale e garantire la cybersicurezza”
La conclusione è che “l’approccio di Agcom comprometterebbe il progresso dell’Italia verso gli obiettivi del Decennio digitale europeo e gli obiettivi di trasformazione digitale previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in particolare nell’adozione del cloud e nello sviluppo dell’infrastruttura digitale – aree in cui un miglioramento urgente è necessario”.