Osservo con grande preoccupazione il dibattito in corso in Parlamento sullo sviluppo dei data center in Italia. Nel confronto del 12 novembre 2025 in IX Commissione permanente sulla proposta di legge-delega al Governo in materia di organizzazione, potenziamento e sviluppo tecnologico dei centri di elaborazione dati, l’obiettivo dichiarato era quello di semplificare le autorizzazioni bilanciando però stringenti vincoli ambientali e fiscali. Tra le novità positive, le modifiche proposte estendono i benefici procedurali non solo alle nuove costruzioni, ma anche a ristrutturazioni e ampliamenti, e introducono la possibilità di una procedura autorizzativa unica, con potenziali tempi più rapidi per gli investitori.
Indice degli argomenti
I nodi critici
Il nodo più critico riguarda energia e localizzazione. Diverse proposte mirano a dare priorità, o addirittura a vincolare, la localizzazione dei nuovi data center alla vicinanza delle reti di teleriscaldamento per sfruttare il calore di scarto. Poiché tali reti sono presenti soprattutto nel Nord, ne deriva un indirizzo geografico di fatto.
Sul fronte dell’approvvigionamento elettrico, emerge un contrasto netto: da un lato c’è chi vorrebbe includere l’uso di energia da fonte nucleare sostenibile; dall’altro, un emendamento punta a vietare esplicitamente l’autoproduzione di energia elettrica tramite impianti nucleari per il servizio dei data center, un divieto che includerebbe anche gli Small Modular Reactors (SMRs).
L’accesso ai benefici
Parallelamente, vengono introdotti criteri molto severi per l’accesso ai benefici: prova di effettiva presenza fiscale, sostanza economica e contributo occupazionale in Italia, oltre alla promozione di un riequilibrio territoriale verso il Sud. A questi si aggiungono nuovi oneri fiscali che incidono sulla competitività complessiva del Paese.
È la combinazione di queste direttive a creare una trappola: spingiamo i data center a localizzarsi nel Nord per il recupero del calore di scarto proprio dove la rete elettrica nazionale è già virtualmente satura; e, al contempo, rimuoviamo l’unica opzione realistica che consentirebbe ai grandi operatori e hyperscaler di alimentare i propri impianti in modo stabile e carbon-free senza gravare sulla rete: l’autoproduzione da nucleare di nuova generazione, come gli SMRs.
Un limite allo sviluppo tecnologico
Come consulente di settore, vedo quotidianamente i criteri in base ai quali gli operatori internazionali valutano dove investire. Una combinazione di vincoli come questa — che àncora gli impianti a zone energeticamente sature, limita le soluzioni tecnologiche più efficaci e innalza barriere fiscali e di accesso — rende l’Italia significativamente meno attrattiva rispetto ad altri Paesi europei con politiche energetiche più flessibili.
Il dibattito parlamentare dovrebbe puntare a rendere il nostro Paese una destinazione privilegiata per le infrastrutture digitali. Con queste premesse, rischiamo invece di bloccare lo sviluppo di un settore strategico. L’Europa corre veloce e noi non possiamo permetterci di restare intrappolati in contraddizioni che noi stessi abbiamo creato.













































