Digital Markets Act: la clausola di interoperabilità, cuore pulsante della normativa europea, torna al centro del dibattito. Un nuovo studio scientifico condotto dalla Libera Università di Bolzano, in collaborazione con le Università di Udine e Padova, ne analizza gli impatti sistemici. Il paper, parte del progetto Prin-Pnrr sulla concorrenza digitale e la sicurezza informatica, evidenzia come l’obbligo imposto ai gatekeeper – Apple, Google, Meta – di aprire i propri ecosistemi digitali possa generare benefici per gli utenti finali, ma anche nuove vulnerabilità. Un equilibrio delicato, che potrebbe però stimolare investimenti più robusti nella cybersecurity.
La clausola impone ai grandi operatori di garantire interoperabilità tra servizi e piattaforme, riducendo le barriere all’ingresso per sviluppatori indipendenti e aumentando la libertà di scelta per i consumatori. Un principio che, secondo i ricercatori, rompe le logiche di lock-in e apre scenari di maggiore concorrenza. Ma l’apertura dei sistemi comporta anche rischi: più interconnessione significa più superfici d’attacco.
Indice degli argomenti
Big Tech sotto pressione: il caso Apple e la reazione di Bruxelles
Il tema è di stretta attualità. Dopo l’entrata in vigore del Digital Markets Act, la Commissione europea ha avviato una procedura formale contro Apple. L’accusa: non rispettare pienamente gli obblighi di interoperabilità. In particolare, Bruxelles contesta che le regole imposte agli sviluppatori per l’uso di store alternativi su iOS mantengano “ostacoli di fatto” alla concorrenza, vanificando lo spirito del Dma.
Questo episodio conferma quanto la clausola di interoperabilità sia un terreno di scontro tra regolatori e Big Tech. Le grandi piattaforme difendono la chiusura dei propri ecosistemi come garanzia di sicurezza e qualità. Ma il paper delle tre Università ribalta la prospettiva: l’apertura può generare un circolo virtuoso di innovazione e investimenti in sicurezza.
Interoperabilità e sicurezza: un equilibrio possibile
Secondo il modello economico-teorico sviluppato dai ricercatori, l’interoperabilità porta con sé vantaggi evidenti per innovazione e concorrenza. L’utente non è più vincolato a un unico fornitore, può scegliere tra più servizi, e gli sviluppatori indipendenti trovano spazio per proporre soluzioni alternative. Ma l’apertura degli ecosistemi digitali comporta anche nuove vulnerabilità, poiché i sistemi devono dialogare con fornitori esterni e concorrenti.
Alessandro Fedele, referente scientifico dello studio per la Libera Università di Bolzano, sottolinea: “Tali soft spot indurrebbero giocoforza le aziende a investire di più sulla sicurezza”. Una tesi condivisa dai coautori, Stefano Comino (Università di Udine) e Fabio Manenti (Università di Padova), che aggiungono: “Se questo stimolo agli investimenti porti a un’effettiva maggiore sicurezza e, complessivamente, a un vantaggio anche per gli utenti, dipende da una serie di fattori”.
Tra questi, il ruolo degli effetti di rete: il valore di un servizio digitale aumenta al crescere del numero di utenti con cui si può interagire. L’interoperabilità amplifica questi effetti, rendendo i servizi più attrattivi e potenzialmente più sicuri, se accompagnati da investimenti adeguati.
Ecosistemi aperti, concorrenza e innovazione: il nuovo paradigma
Il Digital Markets Act rappresenta una svolta regolatoria per il mercato digitale europeo. La clausola di interoperabilità, pur essendo la più contestata, è anche quella che può ridefinire le regole del gioco. Lo studio delle Università italiane mostra come l’apertura dei sistemi non sia solo una questione tecnica, ma un fattore strategico per la concorrenza e la sicurezza.
L’interoperabilità può ridurre le pratiche monopolistiche, stimolare la nascita di nuovi servizi e aumentare la resilienza dei sistemi digitali. Ma richiede una governance attenta, capace di bilanciare libertà di scelta e protezione dei dati. In questo senso, il Dma non è solo una norma, ma un laboratorio di policy per il futuro digitale dell’Europa.
Il paper, già presentato in workshop e seminari accademici in Italia, Europa e Africa, è disponibile come working paper open access. La sua diffusione internazionale conferma l’interesse crescente per il tema e la rilevanza della ricerca italiana nel dibattito globale.
Verso un nuovo equilibrio tra apertura e protezione
Il Digital Markets Act, con la sua clausola di interoperabilità, pone le basi per un nuovo equilibrio tra apertura dei mercati e protezione degli utenti. Le Big Tech resistono, ma il vento della regolazione soffia in direzione opposta. Lo studio delle Università di Bolzano, Udine e Padova offre una chiave di lettura preziosa: l’interoperabilità non è una minaccia, ma un’opportunità.
Un’opportunità per ripensare la sicurezza informatica, per stimolare la concorrenza, per dare più potere agli utenti. E per costruire un ecosistema digitale europeo più aperto, più equo, più sicuro.
Leggi il dossier di CorCom sul Dna a questo link



































































